Lo scricchiolio veniva dal profondo. Al
riparo dello sperone di roccia, il giovane lo
udiva senza riuscire a scorgerne l’origine.
Era l’unico ad essersi avventurato laggiù: di
rado i suoi compagni erano scesi in quel
pozzo buio e freddo, roboante di cascate
lontane, senza cibo né ripari accoglienti. Non
c’era alcuna possibilità di sopravvivere
troppo a lungo in quell’umidità gelida. Si
diceva persino che il pozzo non avesse una
fine ma scendesse giù all’infinito, finché
risalire non diventava impossibile e si moriva
di stenti, stremati in qualche nicchia
scomoda. Eppure il giovane era lì. E i mostri
si stavano avvicinando. Il cigolio acuto e
ritmico della loro avanzata si faceva più forte.
Dal suo nascondiglio il giovane intravedeva
solo un cordone pallido e teso che si tuffava
nell’oscurità senza fine, imperlato di gocce
dall’odore pungente.
Non riusciva a ricordare da quanto tempo
fosse lì. Quell’orrido filamento c’era già
quando era arrivato? O era comparso dopo?
Un sonno troppo profondo doveva averlo
colto, nell’inverno morente che assomigliava
a una menzogna primaverile. Il freddo e la
stanchezza lo avevano tradito, facendogli
trovare riparo dove mai avrebbe dovuto. Un
errore che adesso poteva essergli fatale.
Il giovane tremò quando percepì un fascio di
luce squarciare le tenebre dal fondo del
pozzo. Era un bagliore freddo e impazzito,
per nulla simile al sole o alla luna, ma
doloroso e sterile. Si muoveva senza requie,
oscillava privo di ritmo illuminando pochi
dettagli del condotto scuro, trasformandolo in
un’orribile bocca di roccia irta di denti
deformi. Era una falena scintillante dal moto
nevrotico che si avvicinava sempre di più,
facendosi più grande e più terribile ad ogni
respiro.
Un tonfo sordo, un rombo di tuono, ancora
lo scricchiolio a più riprese. Un urlo acuto si
fece eco dal profondo, uno stridio che
cresceva ad ogni rimbalzo del suono sulla
roccia. Una goccia tremò dal soffitto e si
infranse gelida sulla schiena del giovane.
“Se resto nascosto qui, forse non mi vedrà” si
disse, nel vano tentativo farsi coraggio.
Aveva sentito troppe storie mormorate nella
notte circa quegli esseri mostruosi, ricoperti
di scaglie talvolta rosse e talvolta blu, che
urlavano nelle tenebre ed emergevano dai
cunicoli, accecanti e orrendi nelle loro
fattezze sproporzionate. Certi avevano messo
in fuga intere famiglie con la loro sola
presenza, costringendole a vagare senza cibo
in pieno inverno, condannate. I mostri si
impadronivano dei loro rifugi, anche per
giorni e giorni, spesso tornavano in forze più
volte nella stessa stagione, estate o autunno
che fosse. Esistevano da sempre, venivano
da altrove e non mostravano alcuna pietà. Si
muovevano in coppie o in branchi, spesso
attaccati a quei filamenti pallidi che
permettevano loro di spostarsi sulle pareti dei
pozzi. I versi cupi e incomprensibili con cui
forse comunicavano li precedevano con la
loro eco che riempiva le sale da un momento
all’altro. Ma peggio di tutto era la luce che
emettevano da quella che, forse, era la loro
testa.
Il bagliore freddo riempì l’alcova
all’improvviso, ferendogli gli occhi. Il
giovane percepì il mostro rosso ancora prima
di vederlo. Sapeva di essere osservato da
occhi enormi dietro quel riverbero
insopportabile. Il mostro lo fissava, forse
divertito, con le scaglie coperte di fango
maleodorante. Le sue quattro protuberanze
accarezzavano il cordone con arti grandi
quanto un individuo adulto. Dal tronco del
mostro si levava un calore bestiale, quasi
bruciante, accompagnato da un afrore simile
a quello di una carogna. Fu più di quanto il
giovane potesse tollerare: spiegò le sue
piccole ali fibrose e volò via, fuori da quel
pozzo tremendo, nel crepuscolo rosa. Verso
la vita, verso la notte.
Marion tirò sulla corda un’ultima volta e uscì
all’esterno con un balzo, appoggiando i piedi
sull’orlo dell’abisso e i liberando i bloccanti
di sicurezza con un ultimo cigolio. Sorrise a
se stessa nell’aria della sera: la fine di
un’escursione in grotta le lasciava sempre un
misto di soddisfazione e nostalgia per
l’avventura passata, quando l’adrenalina
cedeva pian piano il posto alla stanchezza
che le intorpidiva i muscoli. La sua tuta da
speleologia era infangata da capo a piedi e,
dato l’odore che sprigionava, Marion sentiva
la necessità di una doccia ristoratrice. Si
sporse sul bordo del pozzo per intravedere la
luce del suo compagno, ancora intento a
risalire.
«Sono fuori!» annunciò «C’era un pipistrello
nascosto dietro una stalattite. Una bestiolina
minuscola, mi è quasi volata addosso mentre
usciva.»
«Strano, di solito questa grotta è troppa
fredda perché vengano a dormirci;» fece eco
l’altro «Non ti avrà mica fatto paura?»
«Ma no, figurati! Spero solo di non essere
stata io a spaventarlo.»