blog di Alberto Grandi
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Senza zucchero – Caccia al tesoro11 min read

4 Ottobre 2021 8 min read

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Senza zucchero – Caccia al tesoro11 min read

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Caccia al tesoro

Giorgio era seduto su una panchina e si stava fumando una canna.
Era un classico del sabato sera, la canna. Poi, un altro classico, era la sbronza. Il classico dei classici però era trovarsi con gli amici già fumati e sbronzi e girare di locale in locale senza concludere niente, e tornare a casa e stendersi ciascuno sul proprio letto con la sensazione di non essere migliorati di una tacca.
Alla fine era la noia il grande classico del sabato sera.
Finita la canna, Giorgio rimase intirizzito e stonato sulla panchina, finché non sentì un rumore di passi. Poco dopo comparve il Boncio, vero nome Roberto Boccioni. Un tipo alto e storto, come se provasse le vertigini dal suo metro e novantatré.
Anche il Boncio aveva fumato. Questo lo rendeva ancora più storto.
«Ciao» disse, davanti alla panchina.
«Ciao» disse Giorgio.
«Come va?»
Giorgio sollevò le spalle. «Va.»
«Enrico, Marco e il Folle?»
«Devono ancora arrivare.»
Il Boncio si lasciò cadere sulla panchina e si accese una sigaretta. Per alcuni secondi i due amici rimasero immobili, poi il silenzio assoluto del piccolo parco di periferia dove si erano dati appuntamento, fu scosso da un evento improvviso.
Uno sparo.
Bam!
Sì, non c’era dubbio. Quello che avevano appena sentito era uno sparo di pistola, un colpo improvviso, esploso poco lontano e che li fece sobbalzare sulla panchina.
Giorgio e Boncio si guardarono.
«Lo hai sentito anche tu?»
Prima che Boncio potesse rispondere che eccome se lo aveva sentito, qualcuno sbucò dal cancello ed entrò nel parco. Compì pochi passi, reggendosi un fianco con un braccio, poi stramazzò sulla piazzetta, ai piedi di un’altalena.
Boncio e Giorgio rimasero immobili come calchi pompeiani alcuni secondi, poi scattarono in direzione del caduto. Si chinarono su di lui.
Alla luce di un lampione videro che era un uomo sulla quarantina, magro, la pelle butterata, una barbetta da diavolo sotto il mento.
Era ancora vivo. Con una mano si premeva il fianco che buttava fuori sangue a spruzzi. Era chiaro che gli rimanevano pochi istanti di vita.
Boncio e Giorgio non sapevano cosa fare.
«Si sente bene?» domandò d’istinto Boncio, sentendosi uno stupido; come faceva a sentirsi bene un uomo a cui avevano appena sparato?
«Chiamiamo l’ambulanza!» disse Giorgio, prendendo il cellulare dalla tasca. «Qual è il numero?»
L’uomo fissava i due ragazzi con occhi sgranati, sudato, ansante. Era sconvolto ma anche consapevole che non gli rimaneva molto da vivere.
«Il tesoro!» disse, afferrando Giorgio per un polso, come a volergli impedire di chiamare la polizia.
«Come ha detto?» domandò Giorgio.
L’uomo staccò l’altra mano dal fianco e, con dita insanguinate, indicò una fila di alberi alla propria sinistra, al di là del cancello. «Sotto una di quelle querce… c’è un tesoro… È vostro…»
«Un tesoro?» domandò Boncio. «Quale tesoro?»
«Sotto quelle querce…» balbettò l’uomo, sfinito, sempre più a corto d’ossigeno.
«Quale tesoro?» tornò a domandare il Boncio. «Di che si tratta?»
«Un sacco di soldi… prima che loro… lo prendano… prendetelo… voi…», furono le ultime parole dell’uomo a terra, poi crollò il capo, smise di ansare e fu come se si pietrificasse tutto, e i suoi occhi si sbarrarono sotto il plenilunio.
«Signore… Signore?», Giorgio lo scosse per una spalla, inutilmente.
«È morto» disse Boncio, alzandosi in piedi. «Crepato, trapassato, kaputt!»
«Sì, è… morto…» disse Giorgio.
I due amici erano ammutoliti, increduli. E, soprattutto, vivi. Vivi in contrasto all’uomo steso a terra che, come già detto, era morto. Ma vivi anche rispetto ai loro standard, come dire, di vitalità da sabato sera. Perché com’è stato spiegato, per Boncio e Giorgio, due ventenni nati e cresciuti nella periferia di Milano, il grande classico del sabato sera era sempre stata la noia. Un concatenarsi di eventi senza variazioni – fumare, bere, andare per locali, provarci con qualcuna senza successo, fumare ancora, bere ancora, tornare a casa come soldati sconfitti senz’aver nemmeno combattuto una battaglia.
Quel sabato sera, invece, il grande classico, era la morte di un tizio a cui avevano sparato e che aveva parlato di un tesoro.
Mica poco!
Boncio aprì le labbra, stava per dire qualcosa, ma fu anticipato da un rumore di passi in avvicinamento.
Lui e il suo amico si fissarono per l’ennesima volta e nella mente di entrambi dovette sfilare la stessa serie di pensieri.
Il tizio a cui avevano sparato aveva parlato di un tesoro.
Un tesoro nascosto.
Chi gli aveva sparato probabilmente voleva mettere le mani sul suddetto tesoro.
Chi gli aveva sparato era dunque armato e non avrebbe gradito la vicinanza di due ragazzi presso il cadavere dell’uomo che conosceva l’ubicazione del tesoro.
Conclusione: era meglio non farsi trovare da questi tizi che sparavano.
I passi si facevano sempre più vicini. Boncio e Giorgio videro tre sagome profilarsi dietro la cancellata del parco.
Giorgio indicò uno scivolo all’amico.
«Là, nascondiamoci» sussurrò.

Tre individui entrarono nel parco e si avvicinarono al cadavere.
Due uomini e una donna.
I due uomini sembravano Stanlio e Ollio versione malvagia.
Stanlio era magro e aveva un viso affilato che sembrava un coltello, con una spazzola di capelli biondi sopra una fronte ampia; Ollio era un grassone enorme che camminava con le gambe larghe, un po’ come una donna incinta.
La donna era bionda e senza trucco, indossava jeans che le fasciavano un bel sederino tondo e una giacchetta in pelle.
«Eccolo il bastardo!» disse Stanlio, sputando sul cadavere. «Fosse ancora vivo, mi ci divertirei un po’.»
«E invece è morto» disse Ollio. «E ora non sappiamo dove abbia messo la roba.»
La bionda si legò i capelli dietro la nuca con un elastico e si guardò intorno.
«Forse qui in zona. Era qui che lavorava, giusto?»
Stanlio annuì. «Sì, in questo quartiere. Ma parliamo appunto di un quartiere. Non possiamo metterci a frugare ogni angolo. Il nascondiglio potrebbe essere ovunque!»
Ollio incrociò le braccia sull’enorme petto. «E invece è quel che faremo.»
«Cosa?» chiese Stanlio.
Ollio rispose: «Frugare ogni angolo. Ora ci dividiamo e guardiamo dappertutto. Nei cassetti della spazzatura, sotto le auto sotto le panchine, dietro le grate degli edifici abbandonati, perlustriamo ogni buco e prima dell’alba ci ritroviamo qui.»
«Ma…» disse Stanlio.
Ollio gli si fece appresso, sovrastandolo con la sua enorme massa corporea. Era come una montagna che getti ombra su un cipresso.
«Dico, sappiamo tutti quanto c’è in ballo, giusto?»
Stanlio annuì, un po’ impaurito.
«Una montagna di soldi» continuò Ollio. «Tanta roba, tanta ricchezza. Un tesoro! Io dico che la ricerca di un tesoro vale qualche ora a muover le mani nei posti più disparati, fossero anche tutti i fondi di cesso pubblico di questa città, dico bene?»
Stanlio annuì ancora. Era chiaro che tra i due era il grassone che comandava.
«Bene, allora dividiamoci, avanti» concluse Ollio. «Ognuno prenda una direzione diversa. Se nessuno fa sapere qualcosa via WhatsApp agli altri ci si vede qui alle cinque del mattino.»
Il gruppo si sciolse.
Quando tutti e tre furono inghiottiti nella tenebra, Boncio e Giorgio si sentirono autorizzati a sbucare dal loro nascondiglio.

Giorgio mentre si avvicinava al cadavere pensò che era buffa la vita. Quel parco lui lo aveva bazzicato fin dal bambino. Aveva giocato come un pazzo sui cavallini a molla e sulla giostra, si era fatto rincorrere dai suoi amici e li aveva rincorsi attorno alle panchine, era volato sull’altalena con la sensazione di toccare il cielo, insomma, in quel parco aveva vissuto tanti eventi emozionanti, da piccolo. E ora da adulto ne stava vivendo un altro. Una specie di gioco un po’ inquietante: Caccia al tesoro con cadavere.
Boncio, che era più pragmatico, disse: «Dobbiamo sbrigarci.»
«A fare cosa?» domandò Giorgio fissando il cadavere – era così bianco e rigido da sembrare una statua.
«A trovare il tesoro, cosa se no? Prima che quei tre ritornino.»
Rapidi, i due amici, attraversarono il parco, superarono uno steccato e si avvicinarono alla fila di grandi querce indicate dall’uomo a cui avevano sparato.
Gli alberi erano ampi, possenti, dal tronco marmoreo e le fronde simili a nuvole oscure e fresche.
Boncio considerò che dovevano essere assai vecchi, per com’erano grandi, e in effetti, a sua memoria, esistevano da sempre. C’erano anche quando era bambino, simili a giganteschi guardiani che vegliano sui piccoli che giocano tra altalene e scivoli.
«Che facciamo ora?» domandò Giorgio.
Bonciò rifletté. «Usiamo l’iPhone in modalità torcia e perlustriamo la base dei tronchi. Forse il tesoro è stato seppellito qua sotto.»
Giorgio annuì.
I due amici si misero all’opera. Dopo alcuni minuti, Boncio disse: «Penso di aver trovato qualcosa.»
«Davvero?», fu raggiunto dall’altro.
Boncio indicò un punto, alla base della quercia, dove la terra risultava un poco smossa, come se qualcuno avesse scavato un buco per poi ricoprirlo. «Qui, guarda.»
«Scaviamo?» domandò Giorgio.
«Scaviamo» rispose Boncio. «Avanti, dammi una mano.»
I due amici presero a scavare affondando le dita nella terra e spostandone a manciate. Ad un certo punto, Giorgio disse: «Lo sento!»
«Cosa?» chiese Boncio.
«Qualcosa di duro, qui sotto», Giorgio continuò a levare manciate di terra finché le sue dita non afferrarono quello che aveva l’aria di essere uno zaino. Lo sollevò e con qualche manata lo liberò della terra residua.
Lo zaino era nero, semplice, con chiusura a cerniera.
«Che facciamo?» domandò Giorgio, reggendolo con entrambe le mani.
«Che vuoi fare? Lo apriamo!» disse Boncio.
Giorgio, delicatamente, lo aprì. Ruotò la cerniera del tutto, poi, sempre con cautela, infilò la mano all’interno.
«Che cosa senti?» domando Boncio, gli occhi dilatatati dalla curiosità.
«Qualcosa di compatto, sembra un pacco…», Giorgio tirò fuori la mano, stringeva un pacchetto di plastica trasparente grande più o meno come una confezione di caffè, solo che non conteneva caffè, ma polvere bianca.
«Ma questo non è un tesoro!» disse Boncio, vagamente deluso.
«Ma è come se lo fosse» disse una voce femminile, alle spalle dei due ragazzi, i quali, presi alla sprovvista, si voltarono di scatto.
Illuminata dallo smartphone in modalità torcia, seduta su una panchina, c’era la donna che prima era giunta nel parco giochi insieme agli altri due. Ora che la vedeva da vicino, Giorgio notò quanto fosse bella. Aveva la pelle bianca e intatta, come una bambola di porcellana, e gli occhi sottili e dall’angolo esterno leggermente sollevato, a conferire un’espressione felina al volto. Dopo la sua bellezza, il particolare di lei che i due ragazzi notarono furono una pistola stretta nella mano destra e puntata nella loro direzione.
«Che vuoi fare?» balbettò Boncio.
«Prendermi il tesoro, ovviamente» disse la bionda, e con un breve movimento della canna della pistola, fece cenno di consegnarglielo.
Giorgio non ci pensò un istante e obbedì.
«Avete idea di quanti soldi faccia questo pacco di polvere bianca?» domandò la bionda, infilandosi il pacco sotto braccio. «No, ovviamente non lo sapete. Beh, tanti, abbastanza da sparire dalla circolazione e rifarmi una vita. Sapete, vi ho visti nascosti dietro lo scivolo, prima.»
«Davvero?» domandò Giorgio.
La bionda annuì. «E avevo studiato bene la posizione del cadavere mentre i miei soci stavano discutendo se fosse o non fosse il caso di mettersi alla ricerca della droga, quei tonti. Era steso a terra, ma aveva un braccio disteso e la mano puntata verso questi alberi. Sicché ho pensato che quella mano volesse indicare qualcosa di importante, qualcosa la cui ubicazione, Luca aveva rivelato a voi due.»
«Luca sarebbe il tipo morto?» domandò Boncio.
La bionda annuì. «È proprio una cosa da lui tentare di fregare i soci di una vita, me compresa che sono stata la sua ragazza tra l’altro, per regalare, in punto di morte, tutto questo ben di dio a due sconosciuti. Era un tipo originale, Luca, questo bisogna concederlo.»
Mentre Boncio e Giorgio ascoltavano la bionda, fissavano la canna della pistola. Lei sorrise.
«Tranquilli, non vi ucciderò. I miei soci lo farebbero, sono due macellai, ma io no. Voi non costituite nessuna minaccia, vero?»
«Vero» risposero all’unisono i due ragazzi.
«Non andrete alla polizia a raccontare che qui sotto c’era nascosto un pacco di cocaina e una bionda se n’è appropriata.»
I due ragazzi scossero energicamente la testa.
La bionda parve riflettere alcuni secondi, poi disse: «Sapete, mi spiace per voi, ma forse mi conviene spararvi.»
«Cosa?» sbottò Giorgio.
«Mettetevi nei miei panni. Chi mi assicura che domani non andrete dagli sbirri a raccontare tutto, da bravi cittadini?»
«Noi te lo assicuriamo!» intervenne Boncio con la voce che tremava. «Figurati se ci viene in mente una cosa del genere!»
«Ti credo. Ora» disse la bionda. «Hai la canna di una pistola puntata contro. È naturale che tu mi dica che rimarrai zitto, ma domani, con la luce del sole e tutto quanto, chi mi assicura che la tua coscienza non si metterà in testa di farti agire da bravo cittadino?»
«Non faremo nulla del…»
Giorgio non fece in tempo a terminare la frase che la bionda esplose due colpi.
Bam! Bam!
Uno in fronte per ciascuno dei ragazzi, che finirono lunghi e distesi accanto alla buca che avevano scavato. La bionda sparò un altro paio di colpi proprio per esser certa che quei due avessero fatto la stessa fine di Luca, poi se ne andò.

Quattro ore dopo, un timido accenno di luce che filtrava tra gli alberi e illuminava i cadaveri di Boncio e Luca, diceva addio a un altro sabato sera.

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