Che cosa ci insegna Emilio Salgari sulla scrittura3 min read
Reading Time: 3 minutesPenso che dire che Emilio Salgari scrivesse male a prescindere dal tempo in cui scriveva non sia così sbagliato. L’autore di Sandokan, del Corsaro Nero e di altre avventure, cadeva spessissimo nel cliché soprattutto nelle descrizioni dei sentimenti. Ho appena riletto Le tigri di Mompracem e, francamente, ci sono certe scene che sono più da operetta che da romanzo di avventura. Tipo Sandokan che si stringe il petto in preda agli strazianti dolori d’amore provocati dalla perla di Labuan o che aggrotta la fronte e assume l’espressione di una belva furente o che sospira o urla che pare ruggisca e così via.
Prendiamo un Dumas (padre) che morì poco prima che Salgari nascesse, prendiamo un romanzo come Il conte di Montecristo: ora, parliamo di due autori di caratura differente, me ne rendo conto, ma il linguaggio, il lessico di Salgari è infinitamente più desueto, antico, pretenzioso di quello del francese. Fatta questa premessa, penso che Salgari rimanga un autore notevolissimo e di cui non mi stanco mai di leggere le pagine e scoprire nuovi libri (tutti gratuitamente scaricabili da Amazon, per via dei diritti scaduti).
Che cos’ha di buono? Beh, il primo ingrediente è la fantasia. Gli bastò compiere pochi viaggi d’addestramento per l’Adriatico per partorire avventure marinaresche a non finire, in terre esotiche che evocava nel suo studio. Una fantasia che non si limita solo all’ambientazione e alla suggestione, anche nella macchina della trama. Prendiamo Le tigri di Mompracem, primo romanzo del ciclo del pirata della Malesia: non si può dire che Salgari risparmi al lettore avventure.
Certo, le pagine in cui Sandokan si nasconde tra i banani, si getta nel macchione della boscaglia eccetera pur di sfuggire gli inglesi di Lord Guillonk sono ridondanti. Ma in poco più di 300 pagine ne succedono di fatti. Sandokan assalta gli inglesi e viene battuto; Sandokan si finge un altro e finisce nella residenza del Lord, s’invaghisce della nipote, fugge dalla residenza e poi si organizza per rapire la bella Marianna. S’imbatté in un orango, in una pantera e poi in uno squalo martello. Prende una pillola per sembrare morto e resuscita sei ore dopo…
Anche nel romanzo di protofantascienza Le meraviglie del 2000 le idee non mancano. Il secondo punto forte di Salgari è l’assoluta scorrevolezza dello stile. Dialoghi un po’ stereotipati, ma comunque veloci, descrizioni funzionali a quel che succede, zero digressione. L’autore sapeva come tenere incollato il lettore alla pagina. E penso che per chiunque abbia aspirazioni letterarie e si senta particolarmente votato alle storie d’avventura, abbia degli insegnamenti da dare.
Ecco quali.
Una trama ben congegnata può sopperire a una scarsa psicologia dei personaggi
Se l’azione è buona, il lettore tenderà a perdonare l’autore per certe espressioni stucchevoli
Un solo stereotipo stona, più stereotipi ben collegati, possono avere il loro perché: ovvero, i personaggi di Salgari sono stereotipati ma un certo affollamento di caratteri e un’azione serrata forniscono quella varietà alla lettura che altrimenti risulterebbe povera.
La fantasia è l’arma più potente nelle storie d’avventura – e Salgari ne aveva da vendere
Fare di ogni suggestione materia di narrare, ma questo temo sia puro talento che non può essere insegnato; Salgari ha scritto un’infinità di storie, evidentemente aveva il dna tarato per farlo.
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La seconda genesi (Nulla die editore)
