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Io sono l’abisso, di Donato Carrisi – recensione3 min read

15 Dicembre 2020 3 min read

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Io sono l’abisso, di Donato Carrisi – recensione3 min read

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Articolo pubblicato per Wired Italia

Male, acqua e solitudine: sono i tre ingredienti su cui si basa l’ultimo thriller di Donato Carrisi, Io sono l’abisso (Longanesi), una vicenda oscura i cui pezzi sparsi si compongono nel corso della trama, fino a un grande colpo di scena che chiude il cerchio.
Il male è la materia con cui ogni autore di thriller deve confrontarsi e, in questa storia, Carrisi lo esplora da diverse prospettive. Il male è il serial killer, un uomo che uccide seguendo un modus operandi preciso, un uomo verso cui, il lettore, non sa se provare più odio o pena perché con opportuni flashback l’autore ci informa sulla sua infanzia da incubo, sulla figura materna terribile che lo ha plasmato, rendendolo il mostro che è.

Il male, però, si annida anche dietro le facciate borghesi delle ville fiabesche sporte sulle rive del lago di Como, nel seno di una famiglia che non sa amare, nel cuore di una ragazzina di 13 anni vittima della crudeltà di un suo coetaneo che la costringe a fare cose terribili minacciandola di diffondere immagini private scattate col telefonino (un vero e proprio caso di revenge porn).
Infine il male segna anche il vissuto di chi lo combatte, in questo caso una donna che non è una poliziotta, ma per lenire la sofferenza che le ha arrecato la vita, s’improvvisa tale, un personaggio che l’autore chiamerà per tutto il romanzo “la cacciatrice di mosche” fino all’ultima pagina, fino a quel colpo di scena di cui parlavamo prima, che chiarirà tutto connettendo un personaggio all’altro.

Tutta questa malvagità se nel corso del romanzo è multiforme e si definisce in soggetti diversi, che a volte la incarnano altre la subiscono e altre ancora ne sono sia vittime che interpreti, è sempre accompagnata dalla solitudine. Solo è il serial killer, che vive una vita anonima e si confonde a tal punto nella quotidianità del prossimo, da risultare invisibile. Sola è la cacciatrice di mosche, le cui ferite passate le impediscono di avere una vita sociale normale, di condurre un’esistenza che non sia appunto una semplice caccia. E sola è la ragazzina di 13 anni, il cui padre non si azzarda a comprenderla, forse perché ciò implicherebbe rinunciare al castello di bugie su cui ha basato la sua vita.

Parlavamo di un terzo ingrediente: l’acqua. Nel romanzo di Carrisi è l’elemento primo, non solo della vita, ma del male perché è in una piscina dalle acque sporche e limacciose che il protagonista, bambino, troverò il suo battesimo all’oscurità, a quell’abisso della psiche che finirà con l’incarnare. Battesimo che l’autore descrive in un primo capitolo denso, rapido e bellissimo che contiene tutti gli ingredienti del personaggio che si svilupperà nel corso del romanzo. L’acqua è anche il lago di Como, la cui presenza muta e immobile fa da sfondo alle vite dei cittadini e da cui emergono terribili segreti e il primo indizio grazie al quale la cacciatrice di mosche comincerà la sua caccia all’assassino.

Il romanzo di Carrisi se è un thriller nella trama, imperniata su indizi minimi, intuizioni e sulla caccia di una donna e di un uomo che hanno molto più in comune di quanto pensano, è anche un noir per le atmosfere nebbiose che ispira lo scenario del lago e che l’autore sa ritradurre magistralmente sulla pagina con una prosa che combina l’azione all’indagine psicologica.

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