La quinta stagione, di NK Jemisin – recensione5 min read
Reading Time: 4 minutesLa quinta stagione è un romanzo diventato culto. La sua autrice, l’afroamericana NK Jemisin, grazie ad esso, ha ottenuto fama internazionale. Si tratta del primo capitolo di una saga, La trilogia della terra spezzata, che negli Stati Uniti è valso alla Jemisin, per ben tre volte il premio Hugo (la prima autrice afroamericana a ottenerlo).
La saga è arrivata qui da noi già da qualche tempo, grazie a Mondandori che ha pubblicato i primi due capitoli. Anche in Italia ha raccolto pareri favorevoli.
Ho letto solo il primo romanzo, dunque posso esprimermi solo su questo e non sull’intera trilogia.

La storia è quella di tre donne – che alla fine scopriremo unite da un solo destino – che attraversano un mondo segnato dalle stagioni, lunghi periodi che si aprono e si chiudono con catastrofi naturali.
La Terra descritta dalla Jemisin è un pianeta che si è rivoltato contro la sua specie dominante, dopo esserne stato abusato. Madre Terra è diventata Padre Terra (così la chiamano i suoi abitanti), un mondo in cui sisma e tsunami sono all’ordine del giorno e ogni civiltà che nasce non ha tempo di sorgere impegnata com’è a fare incetta di scorte in previsione della prossima catastrofe che ne segnerà la fine. Le città sono chiamate com, ci sono un impero e un Fulcro, una sorta di scuola in cui vengono addestrati uomini e donne con un particolare potere: l’orogenia.
Dicevamo, il mondo è stato devastato dall’uomo, le conseguenze del cambiamento climatico hanno condotto a un territorio instabile segnato da piogge acide.
Gli esseri speciali allevati dal Fulcro sono gli orogeni, ovvero persone in grado di suscitare terremoti come maremoti, di innalzare rocce dalle acque e soffocare vulcani, forti di un’energia particolare, di un rapporto speciale, se vogliamo, con il pianeta che gli permette di sentire – sensire è il verbo usato dall’autrice che sparge il suo romanzo di neologismi – le correnti segrete del pianeta fino al suo nucleo.

Questi esseri sono potenzialmente pericolosi, dunque il Fulcro li fa suoi sottraendoli alle famiglie di origine, per indottrinarli alla litodottrina – altro neologismo che sottintende una disciplina che regola il rapporto con la terra e quindi con la vita – e sfruttarli nell’arginare con la loro energia, i terremoti, placarli, reprimerli. A seconda del loro potere, gli orogeni indossano anelli alle dita, un dieci anelli ha in sé un potere immenso. Se gli orogeni non sono in grado di gestirsi possono creare disastri, col loro torus, una sorta di aurea energetica, ghiacciare ciò che è loro intorno e seminare morte. Proprio per questo, una volta individuati non hanno speranza e o si sottomettono al Fulcro e accettano il controllo dei cosiddetti Custodi (il romanzo si apre proprio con un Custode che preleva una bambina orogena e la porta al Fulcro) oppure vengono uccisi. E la sottomissione è totale visto che il Fulcro stabilisce anche che si accoppino tra loro perché l’orogenia si perpetui.
Ci sono altri tipi umani o umanoidi che affollano il world building sapientemente messo in piedi dall’autrice come i mangiapietra, esseri metà umani metà roccia che possono inghiottire un uomo nella terra, e poi ci sono gli obelischi anche loro fonte di un potere immenso. Il sesso è libero da tradizioni o condizionamenti di genere. Tanto per dire, nel romanzo è descritta una relazione amorosa tra due uomini e una donna.
Già nel primo capitolo, la trilogia della Jemisin contiene tutto ciò che rende felice un consumatore di fantasy o scifi che non si accontenti di una mera lettura di evasione (come quella offerta da Brandon Sanderson, senza nulla togliere a Brandon Sanderson che si può solo invidiare): il romanzo tratta temi contemporanei come i cambiamenti climatici, l’inquinamento, le catastrofi naturali, strizza l’occhio alla cultura lgbt inscenando una società dove il sesso è liquido e poliedrico ed è narrato da una prospettiva femminile (ma non direi femminista). Ma non è solo un piatto manifesto di contemporaneità travestito da science fantasy. Le tematiche hanno una loro profondità. I personaggi emergono con personalità ben delineate. Quello che mi è piaciuto più di tutti è Alabaster, un orogeno dieci anelli che odia il Fulcro che lo ha educato, dal carattere difficile e allo stesso tempo contraddittorio. Una personalità tutt’altro che scontata.
C’è poi un altro dato da menzionare: qualunque altro autore avrebbe ridotto una storia simile a una storiella fantasy. Alla fine cosa sono gli orogeni se non dei druidi superpotenti che suscitano o reprimono terremoti, fanno emergere giganteschi obelischi dal mare e soffocano vulcani in eruzione? Ma questi poteri fin troppo abusati dal fantasy, la Jemisin li fa propri, li rende sintomi, facoltà fisiologiche, li rende fantastici ma in un modo scientifico (e in questo senso, il suo romanzo ricade pienamente nella categoria del science fantasy).
Chi sia giunto fin qui, penserà di stare leggendo una recensione che è sostanzialmente una lode al romanzo in esame, e invece non è così.
Se nel profilare i personaggi, persino la loro umanità, se nel dipingere un mondo immaginifico fin nel dettaglio, un mondo lontano e allo stesso tempo vicino al nostro, almeno in quanto a problematiche, l’autrice è maestra, non lo è altrettanto nella scrittura. È strano perché non mi sento di dire che scriva male. Se lo facesse, non mi avrebbe reso intriganti i suoi personaggi – Damaya, Essun e Syenite, le tre eroine, ma anche il già citato Alabaster e l’esuberante e sensuale pirata Innon. Il problema è che la scrittura della Jemisin non è sentita, o sensita, per usare un termine suo. È una scrittura “immota” – altro termine che ricorre nel romanzo – nel senso che non è come la linea irregolare tracciata da un sismografo che registra le scosse e i sommovimenti di una terra – leggi “vicenda” – in cerca di un assestamento. È, al contrario, come un resoconto, un rapporto, certo umano, non privo di annotazioni sull’emotività dei personaggi, che però segna un certo distacco tra il lettore e la pagina.
Sia chiaro, non sto stroncando questo romanzo perché come detto sopra è inattaccabile in più punti. Ma se terminatolo, non sono affatto pentito di averlo letto, va detto che non sono del tutto convinto che leggerò il secondo capitolo.
Gabriele
Puro fantasy. Non è fantascienza. Se dal punto di vista di stile e scrittura (complice un eccellente lavoro i traduzione) è davvero notevole, dall'altro è assolutamente deludente: tre romanzi brevi, alla fin fine.