L’immigrazione, un problema fantascientifico4 min read
Reading Time: 4 minutesarticolo pubblicato su Wired.it
Recentemente si è svolto Stranimondi, a Milano, festival dedicato al libro fantastico e di fantascienza. Tra gli ospiti c’era Tullio Avoledo, autore di romanzi come L’elenco di Atlantide, La crociata dei bambini e il più recente Furland. Durante il suo intervento, Avoledo ha spiazzato un po’ tutti raccontando che il governo cinese lo ha invitato a un convegno per tenere un discorso sul design e le città. “Qualcuno potrebbe chiedersi cos’abbia a che fare la fantascienza col design e le città, in realtà parecchio. La fantascienza ha spesso avuto come oggetto la città e alcune sue intuizioni si sono rivelate azzeccate, basti pensare a Condominium di Ballard”.

Il governo cinese sta scommettendo molto sulla fantascienza, anche perché si tratta di un genere letterario che proprio in Cina è rappresentato da una schiera di autori molto seguiti all’estero, primo fra tutti Liu Cixin con Il problema dei tre corpi. Ma ci sono altri paesi i cui politici si rivolgono alla fantascienza. Ad esempio, la Francia: quest’anno a luglio aveva fatto discutere la notizia secondo cui il Ministère des Armées (corrispettivo francese del nostro Ministero della Difesa) intendeva chiedere a quattro o cinque scrittori di fantascienza di immaginare possibili scenari di caos che fossero sfuggiti ai suoi strateghi militari. Nel 2005, il governo canadese aveva chiesto all’autore Karl Schroeder di scrivere un racconto che potesse tornare utile ai peacekeeper ì in un futuro non troppo lontano in cui avessero dovuto operare in territori di guerra dove i droni e l’uso di Internet giocassero un ruolo chiave. L’autore accettò e pubblicò un’opera di finzione dal titolo Crisis in Zefra.
La collaborazione tra gli Stati Uniti e gli autori scifi risale a diversi anni fa. La Nasa ha organizzato visite guidate agli autori di modo che si tengano aggiornati e le loro opere siano scientificamente verosimili. Recentemente, sempre la Nasa, si è offerta di collaborare con alcune case editrici come la Tor Books, proprietà del gruppo McMillan Publishers, che pubblica fantasy e fantascienza, al fine di fornire un supporto scientifico all’ispirazione degli autori. Riguardo poi alla capacità predittiva della fantascienza, non è una scoperta di questi giorni. Nell’ottobre del 2001, il Pentagono, a seguito dell’attacco delle torri gemelle, aveva radunato un gruppo di autori e registi di fantascienza in un edificio anonimo a Los Angeles, chiedendo quale altra minaccia il Paese avrebbe potuto fronteggiare.

Lo sforzo di immaginare un futuro o un presente diverso ma simile al nostro, ci ha spesso aperto gli occhi. Prendiamo un film come District 9 di Neil Blomkamp. Più che di invasione aliena, parla di immigrazione aliena. Migliaia di extraterrestri giungono sulla Terra a bordo di un’immensa nave spaziale che pare non essere più in grado di ripartire. Gli alieni, molto simili a insetti, vengono ammassati in campi di contenimento, finendo col creare un ecosistema a parte e con l’essere percepiti dall’umanità come intrusi. Il film, nonostante abbia più di dieci anni, è attuale. La metafora che offre ai nostri giorni è immediata: gli alieni sono gli immigrati, la nave spaziale i barconi, l’ostilità nei loro confronti delle autorità sudafricane, la nostra verso ciò che è diverso e minaccia di incrinare il nostro benessere.

Una fantascienza di tipo sociale che giochi su temi quali integrazione e razzismo si era già vista con Alien Nation di Graham Baker, un poliziesco scifi ambientato in una Terra che ospita una popolazione profuga aliena. Anche il fantasy ha trattato gli stessi temi con Bright, film disponibile su Netflix con Will Smith dove s’immagina una Los Angeles spartita tra umani, orchi, elfi e altre creature fantastiche che non sempre vanno d’accordo con loro. Da sempre la fantascienza parla di diversità, basti pensare a un romanzo chiave come Straniero in terra straniera di Robert A. Heinlein.

Oggi stiamo fronteggiando una problema che non si risolverà nel tempo di una legislatura e nemmeno nei prossimi dieci anni, l’immigrazione. Parliamo di un Europa in costante calo demografica e di un Africa che conta 1,3 miliardi di abitanti, di cui il 40% ha meno di 15 anni, e che si pensa saliranno a 2,5 miliardi entro il 2050 mentre nel Vecchio continente ce ne saranno 450 milioni. È un problema che l’Europa ha tentato di risolvere nello stesso modo freddo e fallimentare col quale ha avviato la sua Unione e ha tentato di arginare la crisi: ragionando per numeri, percentuali. Ragionando da tecnocrate. Considerando il problema dal punto di vista economico e umano solo sull’onda della paura alimentata da vergognosi interessi elettorali. Invece l’immigrazione va considerato un tema umano e culturale, da affrontare anche con un po’ di immaginazione.
Chiedere a un gruppo di autori scifi di immaginarne la soluzione sarebbe così azzardato?
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