La quinta onda, o ti piace o ti fa schifo3 min read
Reading Time: 3 minutesLa quinta onda (Mondadori, collana Mondadori Fantastica) dell’autore americano Rick Yancey, pubblicato nel 2014 e primo capitolo di una trilogia, è uno di quei romanzi che scatena pareri opposti e crea uno spartiacque tra appassionati di fantascienza. In effetti, questo romanzo, ha il potere di definire un certo tipo di lettore di fantascienza proprio grazie alle reazioni scatenate dalla sua lettura.
Premesso che come anticipato su Facebook, a me il romanzo è piaciuto, posso capire per quale motivo ad altri non sia piaciuto affatto.
Caterina Mortillaro, autrice scifi e premio Odissea 2019 con Devaloka il pianeta degli dei, ha scritto che il romanzo ha una trama “che fa più acqua del mio scolapasta” e vanta “personaggi dello spessore di una figurina dei calciatori”. Poi ha detto che dato che si tratta di un romanzo Young Adult, cioè indirizzato a un pubblico giovane, viene da chiedersi che misera idea abbiano degli adolescenti, gli adulti in generale e l’editoria in particolare.
Su Fantasyplanet il romanzo viene detto “farcito di incongruenze che farebbero rivoltare i maestri del genere (non faccio i nomi) nelle tombe”.
Sul fronte opposto abbiamo sostenitori come Leonardo Patrignani, autore di Multiversum, che dopo averlo letto in inglese lo aveva caldamente consigliato a Mondadori salvo poi scoprire che la casa editrice di Segrate aveva già acquistato i diritti.
I motivi per cui il romanzo non è piaciuto sono evidenti tanto quanto quelli per cui è piaciuto e a volte coincidono.
Partiamo dai primi: effettivamente La quinta onda è un enorme condensato di luoghi comuni della fantascienza, almeno a giudicare dal primo romanzo (non ho letto gli altri due). [Alert: da qui in poi alcuni spoiler] Gli alieni si materializzano in cielo a bordo di un’astronave. Decimano il genere umano sottraendo loro ogni supporto energetico colpendo la terra con un’onda elettromagnetica, scatenano maremoti e s’insediano nel corpo umano prendendone il comando. Insomma, già da questa sintesi di trama si capisce che Yancey e il concetto di originalità fanno a pugni. Poi c’è il personaggio principale, Casey, descritta come una sopravvissuta, una tipa tosta che lotta, indovinate perché? Ma per trovare e salvare il suo fratellino, di cui si porta dietro l’orsacchiotto di peluche. Ovviamente Cassie Sullivan s’imbatte in un bellissimo ragazzo di cui s’innamora e che la salva. Solo che non sa se quel ragazzo è umano o dentro di sé nasconde un alieno. [fine spoiler].
Leggendo Yancey non possono non venire in mente L’invasione degli ultracorpi, Starman, Essi vivono e tanti altri titoli visti e letti. Davvero, in questo romanzo, l’immaginario fantascientifico dell’autore è poverissimo di idee e stereotipato. Anche gli scenari sanno di trito e ritrito: boschi del Nordamerica, autostrade piene di auto abbandonate a loro stesse, città vuote e basi militari recintate. I critici, però, dovrebbero tener conto di un dato: la fantascienza si ripete.
Negli anni, l’incubo di un’invasione aliena non ha mai smesso di ispirare, né il confronto con la macchina antropomorfa, il droide (vedi Westworld).
Riguardo ai pregi di questo romanzo, che me lo hanno fatto godere, si riducono essenzialmente alla scrittura. E non è un pregio da poco. Yancey non ha una prosa fredda, analitica, che giustifica l’assenza di emotività con il dato scientifico, la competenza della materia. La sua è una prosa calda, densa, piena di humor. A tratti può risultare irritante dato che per buona parte del romanzo, il punto di vista narrante è una ragazzina di 17 anni combattiva quel tanto da renderla insopportabile. Ma la narrazione rimane calda, avvincente e con una sua forza di immedesimazione che non è così scontata nei romanzi scifi.
È proprio questo che fa sì che il romanzo risulti indigesto a una certa parte del fandom: il menefreghismo del dato scientifico, l’aderenza senza scrupoli agli stereotipi del genere, malgrado una prosa che decreta il successo dell’opera.
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