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Camilleri, un grande vecchio (nel senso buono)3 min read

17 Luglio 2019 3 min read

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Camilleri, un grande vecchio (nel senso buono)3 min read

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articolo pubblicato su Wired.it

Ci sono personaggi che non riusciamo a immaginare giovani non perché siano nati vecchi o abbiano un atteggiamento serioso nei confronti della vita, che d’istinto giudichiamo antitetico all’età della giovinezza (che tutti fanno coincidere con la spensieratezza quando spensierata non è), ma perché hanno saputo incarnare la vecchiaia così bene e nobilmente che più che non riuscire, non vogliamo immaginarli con meno rughe e meno capelli bianchi di quelli che hanno.
Il premio Nobel José Saramago è tra questi. Tra gli ultimi giganti della letteratura, come lo definì il critico americano Harold Bloom, come romanziere, Saramago ottenne successo in tarda età, con libri splendidi, pieni di esperienza e umanità che solo un uomo invecchiato bene poteva scrivere (i primi due che mi vengono in mente: Cecità, Il vangelo secondo Gesù Cristo).

Lo stesso possiamo dire di Andre Camilleri, morto la mattina del 17 luglio a Roma. Ovvio che se si vanno a vedere le biografie dei due, si scopre che sia lo scrittore portoghese che quello italiano ne hanno fatte di cose prima di diventare famosi. Andrea Camilleri, classe 1925, aveva lavorato in Rai a partire dagli anni Cinquanta, e a teatro, portando per primo Beckett in Italia. Il suo primo romanzo era stato pubblicato nel 1978, ma il vero successo, quello che lo avrebbe reso noto in Italia e poi all’estero, era arrivato nel 1994 con La forma dell’acqua, primo romanzo poliziesco con l’ispettore Montalbano. Camilleri aveva 69 anni. Era già un anziano con i capelli e le sopracciglia bianchi e quel viso un po’ cadente da patriarca siciliano. Era il Camilleri che si sarebbe inciso nell’immaginario collettivo, ma, dicevamo, in lui la vecchiaia non è solo questione anagrafica e fisica, ma anche di lingua.

Quell’ibrido di siciliano e italiano, quella musicalità sfoggiata nei romanzi, suonano inevitabilmente come il risultato di un accumulo di esperienze, una melodia che l’uomo-artista ha trovato dopo infiniti accordi, una voce che solo gli anni possono regalare. Il vigatese, vernacolo pastoso che contiene in sé echi di cose non dette, allusioni, informazioni implicite e subliminali che vanno oltre la parola scritta ha stregato gli italiani. Quella di Camilleri, però, non è stata solo una produzione letteraria di matrice stilistica. Nei suoi romanzi, oltre alle passioni – la cucina – egli ha inserito tematiche sociali, umanitarie e fuori dalla letteratura si è speso per esprimere le proprie idee. La sua è stata una vecchiaia vissuta pienamente tra letteratura e impegno politico, arte e vita. La vecchiaia di Camilleri è stata – ed è – un antidoto ai tempi correnti dove dominano la rabbia e il cinismo, la chiusura politica ed esistenziale verso tutto ciò che è diverso e minaccia di ribaltare un equilibrio che non vogliamo accettare di non possedere già più.

Viene facile e forse un po’ retorico immaginare Camilleri su una nuvola ora, lui che si è sempre professato ateo, magari accanto a Montalbano, in quel paradiso in cui finzione e realtà convivono, entrambi con lo sguardo posato sul Mediterraneo, attenti a quel che succede tra porti chiusi, navi in rotta da sud a nord, politici, immigrati, italiani arrabbiati o pronti ad accogliere. Viene facile, ma dopo il Camilleri vecchio scrittore, è il Camilleri attento e pietoso spettatore quello che viene istintivo immaginare.

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