Da dove vengono le storie4 min read
Reading Time: 4 minutesDi quale capolavoro sia la trentennale serie a fumetti Sandman di Neil Gaiman ne abbiamo già parlato. Gaiman è lo scrittore emblema del fantastico, portatore della fiaccola per la salvaguardia delle biblioteche e per la libera circolazione della fantasia. Buona parte dei suoi romanzi sono riuscitissime favole che fondono fantastico ed elementi dark, weird e horror. Riprende antiche tradizioni, mitologie dimenticate, archetipi nascosti nelle trame delle vecchie leggende. Niente è troppo strano per Gaiman.
C’è una scena di Sandman che mi è rimasta particolarmente impressa, e credo di poterla definire senza fallo una delle scene più alte mai raggiunte nella descrizione del processo creativo, nel lavorio immaginifico dello scrittore. All’inizio del sesto volume dell’edizione italiana, nella storia breve intitolata Calliope, Sogno decreta una pena pesantissima per uno scrittore reo di aver tenuto prigioniera la musa, un tempo sua moglie e madre di Orfeo – ma questa è un’altra storia – per sfruttarne l’ispirazione. Non la farò lunga con la storia in sé: basti sapere che nel momento in cui entra in azione la maledizione di Sogno, lo scrittore inizia ad essere sommerso di idee. Idee geniali, strane, bizzarre, assurdamente originali. La follia dei mondi del sogno inizia a tormentarlo donandogli sempre più spunti, senza concedergli la minima pausa tra un’immagine e l’altra. Una pagina dopo l’altra continuano a susseguirsi incipit su incipit, finché Sogno non lo libera definitivamente della sua pena, lasciandolo prosciugato per sempre dell’ispirazione, incapace di creare storie.
Lo scrittore maledetto da Sogno ha commesso un crimine forzando su di sé l’ispirazione della musa. Le idee sembrano arrivargli come un flusso indipendente dalla sua volontà; benché si rischi di cadere nel tendenzioso a voler dare un’interpretazione soggettiva alle intenzioni di Gaiman, è possibile che in questo modo volesse rimbeccare gli aspiranti scrittori che attendono l’ispirazione senza fare nulla per stimolarla. Nei suoi consigli di scrittura, l’autore fa spesso leva sulla necessità di prendere la scrittura sul serio, come se fosse un lavoro. Non si aspetta l’ispirazione quando si lavora, si lavora e basta. È curioso che proprio lui, che sembra vivere del processo magico dietro le storie, abbia un approccio tanto pragmatico all’argomento. Se si vuole diventare scrittori, dice, bisogna scrivere. Chiaro e semplice.
L’origine delle storie, quindi, sta in parte nell’impegno che uno decide di dedicare alla scrittura, e questo pare pacifico. Ma se l’impegno fa da terreno fertile, i semi delle storie stanno al di fuori dello scrittore, nel mondo reale e nei mille mondi immaginari in cui si immergerà da lettore o spettatore. Chi vuole avere qualcosa da scrivere, deve nutrirsi di storie. Dovrà leggere moltissimo, – anche per ragioni stilistiche – e variamente, sperimentando da lettore quello che vorrà sviluppare come creatore. E dovrà, soprattutto, vivere.
“Più saranno i luoghi che avremo visitato e le vite che abbiamo toccato, più si sarà in grado di scrivere sinceramente”, dice l’autore di Sandman. Uno scrittore racconta la vita delle persone, quindi è doveroso che conosca le persone. Si può imparare dai libri fino a un certo punto, arriva il momento in cui è necessario uscire dalla propria bolla per esplorare quello che il mondo ha da offrire, i suoi input più strani, i lati nascosti del vivere umano, gli occhi dietro la maschera.
Leggere tanto, vivere intenso, accordare del tempo alla progettazione e alla scrittura. Sembrano istruzioni così semplici, un’equazione matematica elementare. Eppure il risultato può essere così astruso che è impossibile rintracciarne il percorso mentale. Nella storia di cui scrivevo all’inizio, l’autore maledetto blatera disperato una serie di input e guizzi di genio. “Un uomo che perde la testa per una bambola di carta”, “Un uomo che eredita una tessera della biblioteca di Alessandria”. Il mio preferito in assoluto, “Un vecchio che possiede l’universo e lo conserva in un barattolo di marmellata nella credenza impolverata del sottoscala”. Cosa non darei per leggere quel racconto, conoscere quel vecchio, sapere e la marmellata fosse di fragole o di prugne. Vorrei scriverlo io stessa, ma come faccio a sentirla come una cosa mia, se la prendo bella e fatta da qualcun altro? La storia appartiene allo scrittore, che si nutre del mondo e lo reinterpreta in una nuova forma dopo averlo digerito. Scrivere richiede costanza, dedizione. Bisogna vivere una vita piena, come persone e come lettori. Eppure c’è un attimo del processo creativo, il punto più importante, il cortocircuito in cui gli elementi collidono e l’idea prende vita in una forma che è al di là del nostro controllo. Ed è da lì che vengono le storie.