Cosa dovrebbe leggere uno scrittore?4 min read
Reading Time: 4 minutesHo sempre rifiutato qualsiasi forma di imperativo nella lettura. Quando ero piccola mio padre mi ha regalato Come un romanzo di Daniel Pennac, in cui l’autore stilava una lista dei 10 diritti del lettore, al centro dei quali stava la libertà assoluta di leggere cosa, come e quando ci pare. Li ho presi alla lettera ancora prima di leggerli, e difatti mi ci sono voluti anni per decidermi ad approcciarmi a quel libro.
Ho sempre letto in modo confuso, scegliendo ogni nuovo titolo seguendo l’ispirazione, piuttosto che un percorso letterario coerente, – ed è un comportamento che vorrei in parte mediare, perché credo che un autore si possa apprezzare di più, se si arriva a conoscerne più a fondo il contesto letterario, con le influenze e le correnti di riferimento. Ma la tendenza a ricercare in primis il diletto nella lettura, quella non la si può negare a qualsivoglia lettore.
Tranne che a quelli che scrivono, – o che nello specifico, scrivono puntando a una pubblicazione editoriale. Non sono sola in questa convinzione: fior di editor, agenti e autori sono d’accordo nell’affermare che se non leggi ampiamente e voracemente, difficilmente potrai diventare un bravo scrittore. Leggere è aggiungere nuovi oggetti alla cassetta degli attrezzi e tenerli affinati, – in ordine, quello non credo sia sempre possibile. La scrittura è anche disordine.
Uno scrittore dovrebbe leggere, questo è assodato. Io però andrei anche un poco oltre, e sottolineerei che lo scrittore dovrebbe anche scegliere saggiamente quello che legge: oltre all’ovvio lavoro di documentazione necessario per la stesura della propria opera, a chiunque abbia intenzione di fare della propria scrittura una professione conviene sviluppare una ragionevole conoscenza del microcosmo letterario di cui intende entrare a far parte. Ovviamente si tratta di una linea guida altamente negoziabile, che si lascia trascinare dalle esigenze individuali della persona. Ci sarà quell’appassionato di storia medievale che pur non avendo mai letto un romanzo storico riuscirà comunque scriverne di tutto rispetto, così come nulla vieta a una neofita che ha appena finito di vedere i film del Signore degli Anelli di scrivere un ottimo racconto fantasy. La scrittura è un’arte che mal si adatta a una fissità di regole, una matematica inesatta che prevede risultati infiniti per infinite combinazioni.
Eppure, sebbene la questione sia altamente malleabile e innumerevoli le eccezioni previste, credo che uno scrittore dovrebbe cercare di conoscere il genere in cui decide di inscriversi. Verrebbe da pensare che uno scrittore di fantascienza sia anche un appassionato lettore del genere, eppure il collegamento non è così immediato. Anni fa stavo chiacchieravo con un amico ed è venuto fuori che il suo sogno di fare fortuna (illuso) scrivendo un best-seller di fantascienza. Ma non leggeva fantascienza; a dirla tutta, non leggeva nulla. Ma si può scrivere bene di fantascienza senza aver mai letto Asimov?
Le ragioni dietro i miei dubbi sono eminentemente pratiche: a fronte di un universo immaginativo estremamente variegato ma comunque già formato nella mente del pubblico di riferimento, come si può costruire un mondo senza conoscere quelli già esistenti? Se non conosciamo i tropi e gli archetipi, come facciamo a usarli o a evitarli? C’è il rischio di ripetizioni, di plagio non voluto, di svolte narrative che paiono sconvolgenti ma sono già state abusate decenni fa. Si può dire che non ci sia opera più originale di quella che prescinda completamente dal suo contesto, ma cosa succede quando quell’opera originale si scopre simile a mille altre?
Se volessi scrivere una crime-story in cui gioco col lettore sfidandolo a trovare il colpevole creando un labirinto di indizi e finte piste, potrei farlo senza aver prima letto Agatha Christie? Per combattere un lettore esperto dovrei riuscire a evitare tutte le loro soluzioni più sconvolgenti, quelle più memorabili. Dovrei leggere almeno Dieci piccoli indiani, L’omicidio di Roger Ackroyd, Omicidio sull’Orient Express e chissà quanti altri titoli.
Se puntassi al dare una nuova interpretazione di magia naturale in un’epopea fantasy, credo che riempirei la mia libreria di J.R.R. Tolkien, Ursula Le Guin, Michael Moorcock, Marion Zimmer Bradley. Se volessi raccontare di una scuola di magia non potrei prescindere da L’arte della magia di Terry Pratchett, da Vita stregata di Diana Wynne Jones e, soprattutto, dalla saga di Harry Potter. L’idea di un collegio in cui vengono insegnate le arti magiche è così radicata nell’immaginario contemporaneo che è impossibile scriverne senza tenere conto dei precedenti editoriali.
Un’opera sarà sempre legata al suo contesto di produzione, indipendentemente dalla volontà e dalla consapevolezza dello scrittore, e andrà a inscriversi in un’entità più grande di qualsiasi cosa l’autore potrà mai scrivere. Ciò che lo scrittore potrebbe ignorare, è un elemento che il lettore potrebbe conoscere più o meno a fondo, e questo vale soprattutto per i consumatori seriali di un certo genere, che avranno affinato i propri gusti insieme alle proprie competenze. Uno scrittore che abbia a cuore le aspettative del lettore non può prescindere da uno studio anche superficiale del genere. Ma le relazioni che intercorrono tra un’opera e il suo contesto letterario sono un vantaggio, prima di tutto. I romanzi sono fatti di idee, e le idee hanno bisogno di dialogare. Scrivere conoscendo ciò di cui si scrive è prendere parte a una conversazione avendone appurato i fatti in precedenza.