Sospensione, un romanzo sulla crisi di mezza età3 min read
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Il protagonista di Sospensione (Centauria edizioni, 18,50 euro) romanzo d’esordio di Michele Neri – giornalista, direttore dell’agenzia Grazia Neri e fondatore di Makadam, prima comunità al mondo di immagini scattate col cellulare – è un italiano sui cinquanta, fuggito anni prima dal suo paese e stabilitosi nel nord della Francia dove si è fatto una famiglia e una carriera come direttore di un’azienda che produce rivestimenti in fibra d’amianto, nocivi per la salute. Egli ha protetto i suoi datori di lavoro con indennizzi alle famiglie delle vittime e audaci operazioni finanziarie. Gabriele – questo il suo nome – è uomo che ha lavorato per dimenticare se stesso e ha cercato di identificarsi nel successo e nel guadagno, tralasciando altri aspetti dell’esistenza. Questo disinteresse calcolato per zone della sua personalità non risolvibili con la gratificazione di una carriera in ascesa, gli si ritorce contro in una crisi di mezza età il cui sintomo è l’impotenza. A dire il vero, non è chiaro se la disfunzione erettile diagnosticata dall’urologo sia il sintomo del suo malessere o ciò che lo scatena. Fatto sta che, incerto sulla propria virilità, Gabriele lo diventa anche della sua vita.
Raccontato così, questo romanzo sembra dirci poco di nuovo. Quella di mezzo è da sempre l’età in cui si tirano le somme sul proprio vissuto e, in letteratura, le somme finiscono col servire puntualmente un conto amaro, fatto di rimpianti, come se fosse appunto il rimpianto la misura della nostra sensibilità. Ma nei romanzi di formazione o riscoperta di sé, più che il cosa conta il come e l’autore ha una prospettiva tutta sua nel raccontare la crisi del protagonista, mescolando privato e sociale e procedendo con una prosa rapida in cui il presente rimanda continuamente al passato, ma in un gioco veloce, astratto, fatto per annotazioni sarcastiche e non tediose sedute dallo psicanalista.
Complice uno stile rapido, più epifanico che digressivo, la presa di coscienza del proprio fallimento esistenziale, in Gabriele, non è ripiegamento ma riscoperta di sé, certo dolorosa. Le pagine sono piene di frasi che viene la voglia di appuntare su un foglietto, nel caso, un domani, ci si trovi se non proprio nelle condizioni di Gabriele, in un momento di crisi: “Penso che sulla terraferma un giorno resterò solo. Ogni libro che inizio accelera questo destino“; “C’è chi non dorme per la paura della bomba e chi per l’imbarazzo di non sapere come apparecchiare, domani“; “Tutto per un amplesso. Un lampo di biologia, un pensiero come l’aria da cui capisci di essere atterrato in un paese esotico. Fatto il check-in, niente da dirsi“.
Il romanzo è dunque un riesame del proprio vissuto, non fatto solamente attraverso la coscienza: Gabriele decide di tornare in Italia, accompagnato da due amici che, su richiesta della moglie, si mettono sulle sue tracce. “Ricordare è sospendere per un attimo l’errore in cui vivi” pensa mentre attraversa la Francia e abbandona lavoro e famiglia. Nel suo caso, l’errore è stato crearsi un futuro a tavolino, pensare che un progetto e la perseveranza nel perseguirlo, potessero mettere a tacere la sua voce interiore. Ma non è così. Alla fine la sua è la storia di molti. Una storia di desiderio rincorso con le armi sbagliate. Il messaggio del romanzo? Concretizzare o meno i propri sogni non segna la vera vittoria. O la vera sconfitta. La tragedia è aver scelto consapevolmente di diventare orfano dei propri sogni e scoprirsi a quarant’anni in una vita che non ci è mai appartenuta.
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