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Migrantes, una graphic novel racconta l’odissea di chi fugge3 min read

9 Ottobre 2018 3 min read

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Migrantes, una graphic novel racconta l’odissea di chi fugge3 min read

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articolo pubblicato per Wired.it

Essere nella pelle di un migrante, lo avete mai immaginato? Avete mai pensato come sarebbe fare a cambio con una di quelle vite che, spinte dalla disperazione, investono tutti i soldi e le speranze che hanno per attraversare il Mediterraneo a bordo di imbarcazioni precarie? C’è chi non solo lo ha immaginato, ma ha voluto provarlo. E poco importa se il territorio attraversato non è di mare, non parte dall’Africa per raggiungere l’Europa, bensì dal Messico per arrivare agli Stati Uniti. Sempre di viaggio per la sopravvivenza si tratta. Sempre di “migrante” parliamo. “Migrante” parola assoluta, condizione che, per disperazione, accomuna i sudamericani che attraversano il Centro-America, in cerca del sogno americano, agli africani che attraversano il nostro mare, in cerca di quello europeo.

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L’uomo che ha vestito i panni del migrante è Flaviano Bianchini, ambientalista e attivista per i diritti umani, redattore di Peacelink.it, fondatore di  Source International e appassionato di viaggi. Bianchini, un giorno, ha deciso di fare a meno del suo passaporto italiano, di vestire abiti comprati a un mercato, e l’identità di Aymar Blanco, originario di Pucallpa, in Perù. La sua lunga permanenza in America Latina e la conoscenza della lingua lo hanno aiutato a mantenere intatta la copertura. E così è partito, insieme ad altri migranti, nel tentativo disperato di attraversare il Messico e superare il confine. Bianchini ha raccontato la sua esperienza di viaggio in un libro, Migrantes, patrocinato da Amnesty International, che ha venduto cinquemila copie in Italia e duemila in Spagana. Oggi quel libro è una graphic novel dallo stesso titolo per le edizioni Shockdom, e disegnata dal fumettista Giovanni Ballati.

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Quella di Bianchini è una storia da leggere e da guardare, soprattutto oggi in cui il problema dell’immigrazione è ridotto a confronto-scontro politico, a slogan da campagna elettorale sui social network. Bianchini (attraverso il tratto di Ballati) ci racconta un’odissea allucinante in cui, nel loro viaggio verso gli Stati Uniti, i migranti devono mercanteggiare con chi ha un furgone per viaggiare stipati in spazi ristretti, asfissiati dal puzzo dell’urina, e poi attraversare chilometri e chilometri a piedi, col rischio di imbattersi in bande armate che mirano a catturarli per ottenere un riscatto dai parenti che vivono negli Stati Uniti. Ci racconta del viaggio allucinante sulla “bestia”, un treno merci che i migranti sfruttano per coprire un lungo tratto, aggrappati sui tetti dei vagoni per non correre il rischio di cadere la notte. Un viaggio con l’incubo – vissuto sulla propria pelle da Bianchini stesso – di venire presi dalla “policia federal”, la polizia di frontiera, che ammassa tutti in celle minuscole, donne incinte incluse.
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I capitoli della graphic novel sono intervallati da paragrafi dedicati alle problematiche più gravi e comuni, come lo stupro delle donne (secondo Amnesty International, il 60% delle donne vengono violentate durante il viaggio verso gli Usa), il traffico degli esseri umani, il Muro, ovvero la barriera di separazione tra Centro America e Usa. Mentre leggevo questo fumetto ero impressionato dalle analogie con un’altra testimonianza di viaggio per la sopravvivenza, quella di Emmanuel Mbolela verso l’Europa. Anche lui come Bianchini un attivista, nato nella Repubblica democratica del Congo, autore di Rifugiato. Un’odissea africana, per le edizioni Agenzia X. Anche lì si raccontavano fatti atroci: stupri, viaggi su autobus scassati attraverso il deserto col rischio di venire fermati, spogliati, derubati, soggiorni in appartamenti condivisi nella speranza di un contatto che faccia progredire lungo la strada di un viaggio apparentemente impossibile e che noi che viviamo col passaporto giusto fatichiamo a immaginare. Un viaggio che la graphic novel di Bianchini e il racconto di Mbolela rendono con la potenza e l’incisività di una testimonianza diretta.
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