Rileggere e tagliare – Scrivere con un limite3 min read
Reading Time: 3 minutesNelle scorse settimane ho scritto un racconto con l’idea di presentarlo a un concorso. Non dirò di che si tratta, non farò manco cenno al genere, che il punto non è quello. Il punto è quello che ho scoperto dovendomi cimentare, per una volta, con le richieste di una giuria che, giustamente, aveva stabilito un limite massimo di caratteri per la lunghezza delle opere.
Ho riflettuto molto sul racconto da mandare, e alla fine ho scelto una storia che avevo in testa già da tempo. Una trama che mi piaceva, con personaggi che mi piacevano, che diceva cose con cui a ben vedere sono d’accordo soltanto a metà ma che mi piacevano e via dicendo. Visto che la storia era precedente alla decisione di presentarla a un concorso, ho deciso di scriverla ignorando il limite di tot caratteri. Non voglio limitarmi, mi sono detta. Ero curiosa di vedere dove mi avrebbe portato esattamente il racconto – o dove l’avrei portato io – se fossi stata libera da ogni vincolo.
Il risultato è stato un racconto che mi piaceva moltissimo e che superava di circa un terzo il limite massimo stabilito. Ottima idea, Me.
Non so dire a quante revisioni ho dovuto sottoporlo; prima ho tagliato le parti visibilmente di troppo, quelle che non sarebbero sopravvissute neanche alla prima rilettura. Poi via due scene che mi piacevano, superflue rispetto a quello che il racconto doveva dire.
E poi è iniziato il calvario. Forme verbali, sinonimi, sintassi rivista e limata in modo da poter risparmiare quei 2-3 caratteri, fino a raggiungere dopo immani fatiche la soglia massima consentita.
Dicevo all’inizio che il punto dell’articolo non è il racconto, ma quello che l’esperienza mi ha insegnato. Tanto per cominciare, scrivere senza tenere presente l’eventuale limite dei caratteri è una pessima, pessima idea. Secondariamente, non sono fatta per la forma breve; ci sono autori che in poche pagine ti fanno brillare davanti un mondo intero – Philip K. Dick, Neil Gaiman, Raymond Carver… – e altri, come me, che hanno bisogno di tempi più lunghi in cui spremere tutte le informazioni sui personaggi e sulla loro storia. Questo non vuol dire che non voglia più scrivere racconti, tutt’altro. Quale allenamento migliore di una sfida proprio laddove siamo più deboli?
La cosa più importante che ho imparato, tuttavia, è che qualsiasi testo, per quanto possiamo trovarlo inizialmente perfetto, – perchè è così che vedevo il racconto appena terminato – può e deve subire ancora un alto numero di tagli. E dovrebbe essere una cosa ovvia, che ho sempre riconosciuto come una verità fondamentale della revisione, e che tuttavia forse non avevo mai accolto realmente prima di dover fare a pezzi una storia che ritenevo già formata.
Dover tagliare e poi tagliare e tagliare ancora, soffrendo nel limare via parti che tutto sommato mi piacevano, mi ha portata a riflettere sulla differenza tra informazioni necessarie, utili o semplicemente gradevoli, e poi ancora sulla natura della gradevolezza. Mi chiedevo, preparandomi a cancellare frasi sopravvissute alle prime revisioni, perché una frase mi piacesse, perché avrei dovuto salvarla. E ho salvato molto, credetemi. Paragrafi interi che altri riterrebbero superflui, – informazioni sulla vita del protagonista che fanno da stampella a una corretta interpretazione del personaggio come persona – sono rimasti semplicemente perché è così che scrivo. E ci sono aspetti che, a volerli togliere per forza, rischiano di portarsi dietro tutto ciò che fa dell’autore, quell’autore, e questo, per quanto mi riguarda, è vitale.
Ciò nonostante, ribadisco: pessima idea non considerare i limiti. Mai più.