Quando scrivere è insicurezza3 min read
Reading Time: 3 minutesHo spesso a che fare con aspiranti scrittori e, in generale, produttori di testi originali. Qualche giorno fa un’amica mi ha invitata a casa sua con l’allettante prospettiva di una tisana e qualche puntata di una serie tv; già che c’eravamo, ci siamo messe a rivedere insieme la sua tesi, interamente dedicata a un argomento di cui non so nulla – un artista italiano del periodo dell’arte povera – ma di cui posso almeno giudicare aspetti quali coesione e coerenza.
La mia amica si è dimostrata estremamente insicura, riguardo quanto aveva prodotto. Si capisce?, continuava a ripetermi. È chiaro? Ma qui? Non so se questa scena ci sta bene etc.
La scena ci stava benissimo, era tutto più che chiaro ed essenzialmente si capiva tutto. Certo, non si trattava del testo perfetto, ma per una tesi va più che bene, gli standard non sono poi così alti da un punto di vista stilistico, – ho letto cose che voi umani…
Ho altri amici che ogni tanto mi fanno leggere le loro opere; una di queste è un’aspirante scrittrice che prende quello che fa dannatamente sul serio ed è difficile descrivere in piena onestà le paranoie con cui ci subissiamo vicendevolmente quando ci mettiamo a parlare di quello che scriviamo.
E se fosse un riflesso di noi stesse, delle nostre paure?
Se stessimo soltanto usando la scrittura come fosse una medicina?
Se tutto questo avesse senso soltanto per noi?
O anche solo, si capisce questa scena?
La settimana scorsa ho pubblicato un paio di articoli. Non ero particolarmente entusiasta di nessuno dei due, – non che non li giudicassi quantomeno decenti, altrimenti me li sarei tenuti per me – ma non li trovavo particolarmente interessanti. Li giudicavo “ok”. Uno dei due, in particolare, mi aveva lasciata parecchio insicura, ma dovendolo pubblicare sul mio blog personale mi sono fatta pochi problemi e l’ho condiviso comunque.
Ecco, vai a sapere, per entrambi gli articoli mi sono arrivate vagonate di complimenti, condivisioni, commenti. Ero abbastanza certa di quello che scrivevo mentre lo scrivevo, ho perso quella sicurezza in fase di pubblicazione e ops, me la sono vista ritornare in una nube virtuale di approvazione e interesse.
Non è un articolo per bullarmi, questo, ci mancherebbe. C’è chi scrive ben più di me, pubblica decisamente più di me e ottiene costantemente ottimi risultati.
Il fatto è che chi scrive non è quasi mai sicuro che ciò cui si sta così faticosamente dedicando non sia un’emerita ciofeca. Si arriva a punti in cui è difficile superare lo scoglio dell’insicurezza, in cui verrebbe da cancellare tutto, abbandonare l’articolo/racconto/romanzo/sceneggiatura per cercare forsennatamente qualcosa che possa dire di più, che possa dirlo meglio.
Non sto dicendo che valga la pena scrivere tutto ciò che ci viene voglia di scrivere. A volte idee che ci appaiono brillanti, sullo schermo si rivelano somme mediocrità.
Ma bisogna anche sapersi fidare di noi stessi, quando pensiamo che possa valere la pena di sviscerare un tema, e mettere a tacere quella voce sibilante secondo cui non sappiamo scrivere che empie baggianate.
Dovremmo essere aperti a quello che possiamo fare quanto siamo pronti ad esserlo con gli altri.
(Se a qualcuno interessasse, i due articoli cui mi riferivo sono Perché la piccola editoria non è un ripiego qui su Penne Matte e Letture e Libertà sul mio blog).