Eufemismo e “il meraviglioso mondo” di Lewis Carroll3 min read
Reading Time: 3 minutesEufemismo è una parola che deriva dal greco ed è composta da εὖ, che significa “bene” e ϕημί, “dire”. Consiste nella sostituzione di un’espressione troppo dura con una più gradevole. Ci sono eufemismi che usiamo nel linguaggio di tutti i giorni, come quando adoperiamo “spegnersi” o “mancare” al posto di “morire”. In genere scegliamo di sostituire un’espressione che riteniamo troppo banale, offensiva oppure oscena. O, ancora, per evitare di toccare argomenti considerati spiacevoli, inopportuni o scabrosi.
Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson, è stato uno scrittore, matematico, fotografo, logico e prete anglicano. Personaggio molto controverso e per certi versi inquietante, nel 1865 scrisse Alice nel paese delle meraviglie, racconto per bambini ricco di giochi di parole, figure retoriche, proverbi e continui riferimenti alla cultura inglese. Il libro ottenne un enorme successo e fu accompagno, fin dalle sue prime edizioni, da una serie di illustrazioni diventate nel tempo famose e riconoscibili.
All’inizio del V capitolo, quando Alice incontra per la prima volta il Bruco, che con aria annoiata domanda ad Alice chi è, Carrol scrive:
Questa non era certamente la maniera più incoraggiante per iniziare una conversazione.
È un chiaro esempio di eufemismo, perché è un modo più gentile per dire che il Bruco non aveva voglia di chiacchierare con Alice, come si capisce dalla “voce languida e assonnata”.
Tutti noi usiamo un eufemismo quando, commentando un libro, diciamo “ho letto di meglio” o “non mi ha convinto del tutto”, perché ci sembra sgarbato dire che non ci è piaciuto per nulla. Lo stesso fa Lewis Carrol quando Alice resta sola con il Grifone:
A dire la verità l’aspetto della bestia non piaceva molto ad Alice.
E lo stesso accade, diverse pagine dopo, quando Alice si trova a cullare un bambino, che poi si scopre essere il Porcellino:
In sostanza, il suo aspetto generale non piacque molto ad Alice.
La figura retorica opposta si chiama disfemismo ed è molto comune nell’italiano parlato: consiste nella sostituzione di una parola neutra con un’altra di per sé sgradevole che, però, nel contesto acquisisce un valore neutro o positivo. Un esempio molto diffuso è l’uso di “vecchio” al posto di padre, che, nonostante sia una parola poco gentile, spesso viene adoperata con una valenza persino affettuosa. Anche in Alice troviamo un esempio di questo tipo.
Alla fine il Grifone disse alla Finta Tartaruga: “Fai presto, vecchia! Non vorrai mica impiegarci tutto il giorno!”.
La vita stessa di Lewis Carroll è considerata da molti studiosi un grande eufemismo, nel senso che la sua attenzione per il mondo dell’infanzia ─ il libro nasce come racconto per Alice Liddell, bambina che l’autore conosceva ─ in realtà era forse un’attrazione priva di innocenza.
Quello che è certo è che il suo libro ha influenzato molto tutta la nostra cultura. Il suo testo è stato letto, studiato e interpretato in vari modi, soprattutto per le tante metafore che contiene.
Ci sono state, poi, anche molte trasposizioni cinematografiche, tra cui le più famose sono quella della Disney e il film diretto da Tim Burton nel 2010. Per finire, una curiosità che forse non tutti conoscono: il libro ha dato il nome anche a un disturbo neurologico che colpisce la percezione visiva (la sindrome di Alice o AIWS: dall’inglese Alice in Wonderland syndrome), legata a distorsioni percettive e sensoriali.