Similitudine e metafora: Raymond Carver tra prosa e poesia3 min read
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Tra le figure retoriche più usate nella scrittura, in prosa come in poesia, ci sono metafora e similitudine. Entrambe mettono a confronto due termini, ma si differenziano per la forma. Mentre la similitudine, infatti, è un confronto chiaro e palese, che si serve di avverbi di paragone (il più utilizzato è “come”), la metafora se ne differenzia per la totale assenza. La parola, dal greco μεταφορά, “trasferimento”, deriva dal verbo metaphérō, «io trasporto» e consiste proprio nel sostituire una parola con un’altra, per rafforzarne il significato.

Raymond Carver, scrittore, poeta e saggista nato nel 1838 negli Stati Uniti e morto a soli cinquant’anni, ha scritto libri tradotti e amati in tutto il mondo. I personaggi di nove dei suoi famosi racconti e di una poesia, per altro, sono diventati i protagonisti di America oggi (Short Cuts), il bellissimo film diretto da Robert Altman nel 1993, che ha vinto il Leone d’Oro al miglior film alla 50ª Mostra di Venezia.


Gli esempi che seguono sono tratti da Racconti in forma di poesia, pubblicato in Italia da minimum fax nel 1984 con la traduzione di Riccardo Duranti.

In un originale racconto in forma di poesia intitolato Pioggia e polenta Carver crea una stravagante similitudine tra i fiori bianchi di ciliegio e l’odore della polenta e, in questa strofa, paragona inoltre una sensazione che riguarda il suo corpo a un evento naturale.
È un po’ come se ci fosse stata una minuscola
frana nel mio cervello. C’è un senso
che ho perso – non del tutto,
no, non del tutto, ma certo troppo.
Una parte della mia vita persa per sempre.
Come la polenta.

Il brano Il posacenere inizia con una bella similitudine sulle gocce di pioggia:
Sono soli al tavolo di cucina a casa
di un’amica. Saranno soli per un’altra ora e poi
l’amica tornerà. Fuori piove –
la pioggia scende come tanti aghi e scioglie la neve della scorsa settimana. Fumano e usano il posacenere…

Con una metafora, invece, si usa una parola per indicarne un’altra. Spesso è un termine concreto, un’immagine, che indica un concetto astratto.

Nell’ultima strofa di Miracolo (il libro è Il nuovo sentiero per la cascata, edito da minimun fax, sempre con la traduzione di Riccardo Duranti), l’immagine del sangue è una metafora del peccato. I protagonisti della scena sono un uomo e una donna che, ubriachi, siedono su un volo di sola andata da Los Angeles a San Francisco, dopo aver assistito a un’udienza per la loro seconda bancarotta.
Il futuro ne ha ancora in serbo parecchie di feroci
sorprese, di squisite svolte, per loro. È il presente
che devono spiegare ora, il sangue
che lui ha sul colletto, la macchia scura che lei
ha sul polsino.

La metafora, quindi, indica un paragone in maniera sottile, senza usare avverbi di o locuzioni. Meraviglioso esempio di questo concetto è La soffitta, dove il termine di paragone è sottinteso:
La mente di questa donna è una soffitta dove le cose
sono state riposte nel corso degli anni.
Ogni tanto il suo viso fa capolino
dalle finestrelle in cima alla casa.
Il viso triste di chi è stato rinchiuso
e dimenticato.
Molte espressioni metaforiche fanno ormai parte del linguaggio comune, come “gambe del tavolo” o “cuore di pietra”, mentre si usa dire “parlare per metafore” quando si fanno continue allusioni. In generale nella lingua parlata si usano molte similitudini, mentre le metafore sono tipiche della lingua scritta e, per crearle, sono necessarie una certa esperienza e una buona fantasia.
