L’estetica della nostalgia3 min read
Reading Time: 3 minutesChe la nostalgia sia una forza che scorre potente nelle vene dell’essere umano, beh, non c’è da ripeterlo; né che i fautori della narrazione siano soliti utilizzarla per ghermire l’affetto del pubblico. Reboot, prequel e deviazioni varie dalla storyline sono tutte rielaborazioni che traggono vantaggio dai sentimenti dei fan che sono rimasti aggrappati al prodotto, fedeltà fatte per metà di apprezzamento per la storia e per metà di nostalgia per il periodo in cui la si è fruita per la prima volta.
Tuttavia non sempre i creatori riescono a sfruttare l’effetto nostalgia a proprio vantaggio; il nostalgico è geloso della propria visione del prodotto, col quale intrattiene un rapporto assai personale, e soddisfare le sue aspettative è molto più difficile che accontentare uno spettatore casuale.
Per dire, crescere col mito di Darth Vader avendo visto la prima trilogia di Star Wars – quella degli anni ’70/80, per capirci – e poi rivederlo nei panni di Anakin il Lacrimoso, dev’essere una bella botta. Gradire la seconda trilogia è molto più facile, se quando la si guarda si ha soltanto una vaga infarinatura di quello che dovrebbe rappresentare il proto-sith.
Se volessimo cercare un movimento artistico che abbia fatto della nostalgia il suo manifesto, potremmo pensare al Saudismo della letteratura portoghese, che si rifà al termine saudade, un “overtone of melancholy and brooding loneliness”.
La nostalgia, però, ultimamente è diventata qualcos’altro. È diventata essa stessa un filone narrativo, un genere transmediale con generi musicali e movimenti artistici di riferimento, e che potrei sussumere con il solo ausilio di due parole: Stranger Things.
Non c’è molto ancora da dire su Stranger Things; solo il tempo può dirci se diventerà una serie di culto, per il resto quei pochi che ancora non l’hanno vista, è ben probabile abbiano presente la curatissima ambientazione anni ’80, la fotografia fatta di ombre nette e rossi accesi, la colonna sonora. L’effetto nostalgia, qui, non dipenda dal ripercorrere un prodotto preciso, ma nella mitizzazione di un certo periodo di tempo, quello di David Bowie, del mullet e delle sale-giochi. È qualcosa di interno alla serie stessa, e non la sublimazione di un ricordo dello spettatore.
Stiamo quindi vivendo immersi in un contesto che ha preso la nostalgia e ne ha scritto l’estetica.
Entriamo in un qualsiasi catena di abbigliamento e vediamo felpe sportive che richiamano le divise dei college americani degli anni ’80, t-shirt che riportano fotografie vintage, grafiche che rimandano a un tempo in cui la produzione di immagini digitali era tutta un’altra cosa.
La pixel-art nasceva negli anni tra gli anni ’70 e ’80, in stretta connessione col mondo dei videogiochi, e ultimamente pare essere risorta a nuova vita. È facile rendersene conto quando si passa parecchio tempo su facebook, dove tra pagine di illustratori più o meno affermati, spopolano le immagini a 8 e 16 bit di pixel artist, la loro sperimentazione coi font, con le linee nette e il forte contrasto di colori.
Dal punto di vista musicale, abbiamo il grande ritorno della vaporwave, con tutte le sue diramazioni e i sottogeneri derivante da lounge, ambient, synth pop e smooth jazz.
Nei media audiovisivi, si esplicita nella scelta dell’ambientazione o nei gusti dei personaggi, a cui viene affidato il compito di portare un passato mitizzato nel presente del racconto. E qui potrei citare, oltre a Stranger Things, il più recente Everything sucks e Glow, altre serie Netflix.
Per quanto riguarda il mondo editoriale, era il 2011 quando l’ormai defunta Isbn ha pubblicato in Italia Ready, Player One, ora riedito da De Agostini in seguito al prevenuto successo del film ora nelle sale. Una distopia gonfia di citazioni, un tributo alla cultura nerd-geek anni ’80, con riferimenti più o meno ricercati. Un romanzo ambientato nel futuro che già guarda al passato. Un successo che ha dovuto attendere anni per ottenere un riconoscimento da parte del pubblico, alla ricerca di un nuovo racconto del passato.
Nostalgia, gente.