Se Guillermo del Toro leggesse Buzzati e Calvino2 min read
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Il film fantastico La forma dell’acqua ha stregato il pubblico e anche gli addetti ai lavori, visto che ha ottenuto ben quattro Oscar all’ultima cerimonia per le assegnazioni. Onestamente ero andato al cinema con delle grandi aspettative che sono state in parte disattese. Le grandi aspettative erano dovute:
1) Al nome del regista, Guillermo del Toro che aveva firmato un altro film di genere fantastico nel 2006, Il labirinto del fauno, quello sì un autentico capolavoro, in grado di stupire, impaurire e commuovere, in sintesi: far sognare.
2) Ai tanti pareri favorevoli espressi da amici a viva voce e in rete da blogger che avevano visto il film prima di me.
3) Alla materia trattata. Chi mi conosce sa che amo il fantasy, la fantascienza e soprattutto il fantastico e lo amo particolarmente quando riesce a riscattarsi dai canoni del genere e a prendere una strada tutta sua, a dar corpo a una poetica individuale che usi la fantasia per esprimere in modo originale temi condivisibili
Mi sembrava che La forma dell’acqua avesse tutte le caratteristiche per piacermi.
Purtroppo, quando mi sono alzato dalla poltrona, mentre i titoli di coda scorrevano, come dicevo prima, mi sono sentito un po’ deluso.
Storia gradevole, regia impeccabile, ma pochi momenti di emozione palpitante (come invece ne avevo provati vedendo Il labirinto del fauno). Piccola riflessione a margine: se la gente, Hollywood, va fuori di testa a vedere un film come questo, che effetto gli farebbe leggere Il visconte dimezzato o Il cavaliere inesistente di Italo Calvino? Oppure I sette messaggeri o L’uccisione del drago o ancora Il Colombre di Dino Buzzati?

I due autori citati possiedono le stesse premesse che hanno decretato il successo di un film come quello di del Toro solo espresse in modo più raffinato ed efficace. Parlo del gusto dell’assurdo; la capacità di mescolare il fantastico alla quotidianità invece che abbinarlo all’epica come succede nel fantasy classico; una certa “attrazione per la bestia” ovvero per ciò che è mostruoso più che delicato e fatato, facendo della bestialità il rovescio della medaglia dell’umanità; il conferimento di una valenza metaforica alla storia, come avviene nelle fiabe classiche.
La spietatezza tipica delle fiabe; la valenza pedagogica espressa attraverso l’avventura, non pedantemente esplicitata come fosse una dichiarazione d’intenti; l’aspetto mostruoso o freak, se vogliamo; il sovrannaturale come espressione di un’umanità sofferta, che s’incarni in un essere tellurico emerso dalle profondità della foresta come il fauno o subacqueo come il mostro de La forma dell’acqua – autori come Calvino o Buzzati offrono tutto ciò per cui del Toro piace
La letteratura italiana, anche quella dalla prosa immediata che non richiede particolari sforzi al lettore, è piena di storie simili.
Non varrebbe la pena (ri)leggerla se tanto ci è piaciuto un film del genere?