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Una chiacchierata con Diego Tonini, autore Fantasy7 min read

24 Febbraio 2018 6 min read

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Una chiacchierata con Diego Tonini, autore Fantasy7 min read

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Ciao Diego. Innanzitutto vorrei che ti presentassi un po’ ai nostri lettori, raccontandoci a grandi linee quali sono i tuoi temi preferiti come autore e, perché no, come lettore.
Ciao, mi presento: vivo a Treviso, ho 39 anni, ho un bimbo di 4 e una cagnolina; lavoro in una grande azienda e vivo in appartamento. Una vita piuttosto banale, insomma, forse è per questo che scrivo storie fantastiche. Venendo alla parte più letteraria, scrivo da quando ero al liceo, ma l’esordio con una pubblicazione è avvenuto nel 2014 per Gainsworth con cui ho pubblicato un racconto fantasy ironico uscito in ebook; la storia è piaciuta e ha avuto un certo riscontro tant’è che ne ho scritte altre tre, collegate fra loro ma leggibili anche stand alone, e alla fine la casa editrice ha deciso di raccoglierle nella “tetralogia in volume unico” Storie di Okkervill, che è uscito anche in cartaceo e che, con mia somma sorpresa e gioia, è stato inserito da Isola Illyon fra i sette migliori fantasy del 2017.
Mi piace scrivere soprattutto fantastico, in tutte le sue declinazioni: horror, fantascienza, fantasy… quello che credo accomuni le mie storie è un certo senso dell’ironia e dello humor, anche nero, una tendenza a non prendersi troppo sul serio, che mi accompagna anche nella vita reale.
Come lettore sono piuttosto onnivoro, anche se prediligo il fantastico, mi piacciono gli autori che hanno una voce distinguibile e le storie “forti”; amo molto i racconti e i romanzi autoconclusivi, non digerisco molto le saghe, forse perché ho poca pazienza di aspettare che si concludano. Se devo dare degli autori di riferimento, direi: Terry Pratchett, Neil Gaiman, Philip K. Dick, William Gibson.

Come scrittore che si occupa prevalentemente di fantastico, hai pubblicato diversi romanzi con piccole e interessantissime realtà italiane, come Gainsworth Publishing e Nativi Digitali. Qual è la tua impressione della situazione editoriale italiana?
Gainsworth e Nativi sono, come hai detto tu, delle realtà interessantissime che fanno il loro lavoro con passione e competenza. Nativi in particolare poi è molto aperta alle sperimentazione e cerca sempre nuove vie su cui portare l’editoria, vedi il progetto di visual novel che hanno lanciato. Ovviamente sono entrambe piccole realtà che devono fare i conti con tutte le difficoltà che questo comporta, ma sono molto felice di aver pubblicato con loro. Allargando il discorso, non posso dire di essere un esperto del mondo dell’editoria, ma in questi quattro anni di pubblicazioni qualcosa del meccanismo l’ho capito. Innanzitutto: per quanto l’idea di diventare editore possa derivare da un desiderio di creare cultura, da una passione per la parola scritta, una casa editrice è prima di tutto un’azienda (anche se a molti editori l’idea sembra non piacere) e come tale deve produrre reddito; le dinamiche che guidano una casa editrice perciò sono le stesse che guidano un qualsiasi altro settore: i grandi gruppi sono molto conservativi e poco propensi a rischiare, investono molto ma solo su prodotti (leggi autori, libri) che hanno un’elevata probabilità di successo, trovato un filone tendono a sfruttarlo proponendo, spendono tanti soldi e ne vogliono fare molti, quindi difficilmente rischieranno tanto, ci sono troppi interessi, troppe persone coinvolte. I piccoli editori in fondo non hanno niente da perdere, sono già piccoli, quindi possono permettersi di rischiare di più, di puntare su esordienti che possano “fare il botto” di proporre cose più originali. Detto questo, come in ogni ambiente, ci sono persone serie e competenti che fanno il loro lavoro con professionalità e tantissimi che invece si improvvisano e credono che per essere editori basti leggere molto.
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Con il progetto Sad Dog sei attivo anche nell’ambito fantascientifico, realizzando antologie e pubblicando titoli di autori. Vuoi parlarci del progetto e in cosa si differenzia da una casa editrice vecchia maniera?
Sad Dog non è una casa editrice, è un gruppo di autori (al mio amico Lorenzo Sartori piace chiamarlo “Collettivo” ma a me fa troppo anni settanta) composto da me, Lorenzo Sartori, Ilaria Pasqua e Mario Pacchiarotti, più vari ospiti che vanno e vengono. Abbiamo deciso di metterci assieme perché ci siamo accorti, almeno era così un paio di anni fa quando abbiamo iniziato, adesso sembra che le cose stiano cambiando un po’ , che un certo tipo di narrativa non è appetibile per l’editoria tradizionale, parlo dei racconti, soprattutto quelli di genere fantastico. La prima idea è stata quella di autopubblicarsi, però il self è insidioso perché spesso viene tacciato di scarsa qualità; la soluzione che abbiamo trovato è stata quella di creare una sorta di marchio, Sad Dog appunto che potesse essere una garanzia di self di qualità, ci siamo quindi messi assieme e abbiamo cominciato a lavorare per questo: ogni autore Sad Dog è formalmente un autopubblicato, ma beneficia della collaborazione di tutti i membri del gruppo in termini di editing, correzione di bozze, impaginazione, copertina, promozione, ecc. Insomma, lavoriamo tutti assieme per far sì che la storia pubblicata non sia solo bella, ma abbia anche una confezione fatta nel miglior modo possibile e dall’aspetto professionale. E, non per peccare di superbia, ma viste le cose che certe case editrici buttano fuori, direi che siamo anche bravini.

Penne Matte è da sempre attenta a capire quali siano le possibilità e a cercare di comprendere quale sarà il futuro del mercato editoriale, nazionale e internazionale. Secondo te quale sarà, da qui a qualche tempo, l’evoluzione dei libri digitali?
C’è quella vignetta della scopa che dice al libro: “tranquillo, hanno inventato l’aspirapolvere e io sono ancora qui”, ecco, io credo che la descrizione più fedele del futuro sia proprio quella vignetta: ebook e cartaceo continueranno a coesistere, e francamente credo che vada bene così, come dico sempre il libro è il contenuto, non il contenitore, trovo che la presunta guerra tra cartaceo e digitale di cui molti parlano sia stupida e controproducente. Per quanto riguarda il futuro del digitale, credo che la versione tradizionale del libro “solo parole” anche se trasportata in bit, resisterà sempre e si troverà a coesistere con ibridi come le Visual Novel, gli ebook con contenuti aggiuntivi e chissà cos’altro. Il libro “duro e puro” però non credo sparirà. La novità tecnologica che io personalmente aspetto con più ansia è un e-reader a colori che mi permetterebbe di leggere anche i fumetti in digitale con un’esperienza simile al cartaceo, ma non mi sembra sia una cosa prossima a venire.
Molti autori italiani, specialmente nei generi fantastici, non riuscendo a convincere un editore con il loro manoscritto, oppure forse semplicemente per pigrizia o egocentrismo, decidono di lanciarsi nel selfpublishing. In qualità di editor professionale, qual è la tua posizione relativamente a questo nuovo tipo di distribuzione?
A me il self piace, e con Sad Dog lavoro in quella direzione, è un modo diverso di pubblicare, più democratico, se vogliamo, in cui l’autore gestisce tutta la filiera di realizzazione di un libro, prendendosi tutti i vantaggi ma accollandosi anche tutte le difficoltà. Quello che però deve essere chiaro è che il self non è una scorciatoia per pubblicare, ma un metodo diverso, quindi i passaggi fondamentali come l’editing la correzione, la creazione di una copertina decente e sensata non possono essere saltati, e molto pochi riescono a fare tutto da soli, direi nessuno, quindi l’autore self, se vuole avere un approccio professionale, a un certo punto dovrà rivolgersi a qualcuno con cui collaborare. Pubblicare un libro realizzato in modo sciatto, oltre a essere un pessimo biglietto da visita, dimostra mancanza di rispetto per i lettori.
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Parlaci un po’ dei tuoi progetti futuri. Sei a lavoro a qualcosa che vedrà presto la luce?
In questo momento sono in una fase interlocutoria, ho un sacco di idee in testa e scribacchio qua e là, soprattutto incipit e appunti, ma non ho un progetto ben definito in cantiere. Ho deciso di fermarmi un attimo per capire dove voglio andare, cosa voglio dire con le mie storie, cosa mi piace veramente scrivere.
L’ultima domanda è la marzulliana “fatti una domanda e datti una risposta”. Se ti va puoi sfruttare questo spazio per parlare di qualcosa che ti interessa in particolar modo e che non ho trattato nelle domande.
Penso di aver sproloquiato abbastanza! Non ho domande precise da pormi, però c’è una cosa che mi preme dire: vedo spesso, sia sui social network che parlando con le persone alle fiere, una forte tendenza alla categorizzazione, sia da parte dei lettori ma soprattutto da parte degli scrittori: io ho scritto un Epic Fantasy mentre tu hai detto che il mio in realtà è un Heroic, allora non capisci niente… ecc. ecc. Le etichette sono buone per mettere i libri negli scaffali delle librerie e poco altro, uno lettore, e tanto più uno scrittore, deve mantenere la mente aperta, leggere, soprattutto generi a lui distanti, in modo da capire che non è il genere a qualificare una storia, ma il fatto che sia scritta bene o no. E poi vedo tantissimi esordienti che si prendono troppo sul serio, che litigano fra loro, che sono invidiosi… e fatevela ne risata ogni tanto!

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