Nuove tendenze scifi: il nanopunk3 min read
Reading Time: 3 minutesQualche tempo fa vi ho parlato di alcune derivazioni del cyberpunk, in particolare di quelle maggiormente influenzate dalla Storia con la esse maiuscola: lo steampunk e dieselpunk.
Ma le sfumature di “punk” non terminano qui. Ve ne sono almeno un altro paio che negli ultimi anni stanno prendendo piede sugli scaffali della fantascienza d’oltre oceano, e pian pianino anche su quelli nostrani: il biopunk e il nanopunk. Ma oggi cercherò di darvi un quadro solo di quest’ultimo, sebbene legato a doppio filo con il primo.
Il termine nanopunk si riferisce a un sottogenere emergente della fantascienza che
descrive società, umane o aliene, nelle quali l’uso delle nanotecnologie è dirompente e influenza tutta una serie di scelte della comunità. Di solito, nel futuro descritto, le biotecnologie sono limitate o proibite, e solo l’utilizzo di naniti è concesso. Ovviamente l’inserimento massiccio di una tecnologia oggi ancora sconosciuta, se non impossibile, spesso dà vita a scenari molto diversi dalla nostra contemporaneità, catapultando il lettore in vere e proprie ambientazioni surreali e psichedeliche, non solo percettivamente, ma anche socialmente. Per questo motivo, almeno attualmente, l’infanzia del genere sembra essere dedicata maggiormente all’impatto artistico e psicologico delle nanotecnologie, piuttosto che sull’aspetto scientifico in se stesso.
La prima opera che può essere considerata nanopunk è sicuramente L’era del diamante. Il sussidiario illustrato della giovinetta, scritto nel 1995 da Neal Stephenson e vincitore del Premio Hugo nel 1996 e del Premio Locus. È un romanzo di formazione che ha per protagonista una ragazza di Shangai e le sue vicende in un mondo in cui la nanotecnologia influenza ogni aspetto della vita. È un romanzo profondamente intriso di temi sociali e talvolta filosofici, come l’educazione, le classi, la segregazione culturale e la risposta della società ai cambiamenti ipertecnologici.
Altro esponente del sottogenere è Charles Stross, che con il suo Accelerando ha dato probabilmente una notevole spinta, almeno per quanto riguarda il successo di pubblico. Il romanzo, pubblicato nel 2005, presenta nove racconti incentrati su una famiglia che nel corso di tre generazioni si trova a sorpassare una singolarità tecnologica. Questo concetto è davvero interessante: si tratta di un momento ipotetico del futuro di una civiltà in cui il progresso tecnologico accelera oltre la capacità di comprensione e previsione degli esseri umani. Infatti il titolo del romanzo, in italiano anche nella sua versione originale, si riferisce al tasso di cambiamento che l’umanità in generale deve affrontare avvicinandosi alla singolarità. Anche qui, la componente sociologica è molto forte, e inserita addirittura in una sorta di saga familiare.
Chi si è occupata invece di ricadute un po’ diverse è Linda Nagata. Di recente, Urania ha portato in Italia Red, un romanzo di fantascienza militare ambientato in un futuro prossimo in cui le nanotecnologie sono avanzatissime. I temi del sottogenere si ritrovano nell’uso di interfacce neurali, anche se l’ambientazione di guerra, le strategie e i motivi che l’hanno causata lasciano un po’ in secondo piano i risvolti filosofici del caso.
Ovviamente, come spesso accade quando si apre un vaso di Pandora come quello dei sottogeneri, esistono numerosi titoli e autori che possono essere ricondotti al genere, come fautori o addirittura precursori. Tra tutti mi preme segnalare il romanzo di Kathleen Ann Goonan, Queen City Jazz (1997), ancora inedito in Italia, e La città del cratere di Alastair Reynolds, pubblicato lo scorso anno su Urania Jumbo.