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Uno Sherlock uguale e contrario, A. J. Raffles3 min read

19 Febbraio 2018 3 min read

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Uno Sherlock uguale e contrario, A. J. Raffles3 min read

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Tra i romanzi, i film e le serie televisive di immane successo, penso sia pacifico affermare che tutti conosciamo l’identità dell’acerrimo nemico di Sherlock Holmes, James Moriarty. Il malvagio e geniale professore di matematica che trascina il detective con sé giù per le cascate Reichenbach, in Svizzera. Che poi nei racconti la sua presenza sia alquanto ridotta rispetto alle rielaborazioni successive, quello è un altro discorso.
Ecco, io qui vorrei fare cenno all’altro rivale di Sherlock Holmes, meno conosciuto e ben più fallibile, mi riferisco al ladro gentiluomo Arthur J. Raffles creato dalla penna di E. W. Hornung, le cui opere sono state portate in Italia da CasaSirio Editore in Raffles (2015) e Raffles – Caccia al ladro (2016).
Arthur Conan Doyle pubblicava i suoi racconti sullo Strand Magazine tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900. Nel 1893, stanco della sua creatura letteraria, uccide Sherlock Holmes nel racconto L’ultima avventura (The Final Problem), salvo farlo resuscitare nel 1903 in L’avventura della casa vuota (The adventure of the empty house), a causa della lieta convergenza tra i suoi problemi economici e l’insistenza del pubblico.
E. W. Hornung era un suo ammiratore e suo contemporaneo. Ed era anche suo cognato.
La scelta di Hornung di usare come protagonista un fuorilegge era invisa a Doyle, che rinfacciava all’altro il rischio di istigare i suoi lettori al rispetto nei confronti del criminale, se non dello stesso concetto di crimine. Nel 1924, nella sua autobiografia, Doyle racconta chiaramente di aver cercato di dissuadere il cognato ancora prima che questi posasse la penna sul foglio: “You must not make the criminal a hero”.
Raffles_(1925)_poster
Per nostra fortuna, e con costernazione del caro Arthur, Hornung ha proseguito per la sua strada, creando personaggi memorabili a fare da diretto contraltare a quelli di Doyle. Così come le avventure di Holmes venivano registrate e raccontate da John Watson, così è il giovane Harry “Bunny” Manders a prendere nota delle malefatte di Raffles, lasciandocene divertentissimi resoconti in prima persona.
Le opere di Doyle e quelle di Hornung hanno evidenti punti in comune: prima tra tutte, i rapporti che intercorrono nelle loro coppie di protagonisti e le loro dinamiche interazionali. Sherlock e Raffles sono geniali, astuti e dotati di scarsa empatia, Watson e Bunny sono sì leali e fedeli, ma raramente all’altezza dei compagni. Le analogie, per quanto fonti di un vero e proprio calco, si fermano qui.
Mentre il crimine nei racconti di Sherlock Holmes viene raccontato con toni tecnici, più a voler sottolineare l’astuzia del detective che a spronare il lettore alla soluzione del problema, nei racconti di Hornung il crimine abbraccia la trama, mostra il contesto in cui si muovono i personaggi, fa da sfondo ai loro esilaranti dialoghi. Doyle mostra una creatura quasi sovraumana che risolve casi impossibili, mentre Hornung racconta gli sforzi d’astuzia di un genio che si dà al furto e alla truffa, invischiandosi in situazioni tutto sommato credibili.
Se pensando ai casi di Sherlock Holmes mi viene da collegarli un meccanismo preciso e ben oliato, le malefatte di Raffles le accosto piuttosto a un pavimento su cui sono state passate troppe mani di cera, tanto da farti venire voglia di iniziare a scivolarci sopra, nonostante l’ovvio rischio di rimetterci il collo.
Sherlock è tecnica, Raffles è rischio. Ma è un rischio divertente, soave, portato da una scrittura che definirei raffinata.
Lo ammetto, più che adorare Sherlock Holmes, lo apprezzo da un punto di vista puramente oggettivo.
Raffles, invece, quello è puro sfizio.
Peccato solo per la povera coscienza di Doyle.

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