Sulla mania di scrivere romanzi sulla propria famiglia3 min read
Reading Time: 3 minutesOgni giorno le case editrici vengono sommerse da manoscritti da valutare. Intere squadre di redattori pazientemente leggono ed esaminano, o per lo meno sfogliano con attenzione, centinaia e centinaia di pagine. Un lavoro lungo e non sempre interessante: secondo Fruttero & Lucentini “fra tutte le attività connesse alla letteratura, è forse la più deprimente, quella che più stimola la nostalgia dell’analfabetismo, il rimpianto del grugnito preistorico”. La quantità di proposte di aspiranti scrittori è inversamente proporzionale al numero di lavori che merita la pubblicazione. Da una ricerca recente risulta che ogni anno vengono inviate circa 300.000 opere.
I manoscritti spediti e poi scartati dagli editori appartengono ai più svariati generi, ma una grossa fetta è costituita dalle opere biografiche, categoria evidentemente affascinante per chi ama scrivere, tentazione atavica e quasi irresistibile. Eppure la biografia è uno dei generi più ostici e rischiosi: anche se si scrive bene, si parte dal presupposto, quasi sempre errato, che qualcosa che ci riguarda intimamente possa interessare il prossimo: le scrivanie delle case editrici sono ricoperte da file di saghe familiari, omaggi a parenti o autoritratti generazionali. I “biografi” più ostinati, dopo un primo rifiuto si rivolgono al print on demand, che ha il vantaggio di prevedere anche piccole tirature.
Anche per venire incontro a questo bisogno primordiale, che spesso nasce dalla semplice volontà di lasciare una traccia di sé e talvolta sfocia nella mitomania, è nato un curioso caso editoriale. Il giovane designer Francesco Marini nel 2013 ha presentato alla casa editrice Sarnus una sorta di diario autoprodotto pensato per la nonna, a cui veniva chiesto di rispondere per iscritto ad alcune domande, completando così un’originale autobiografia, in edizione unica, da conservare e leggere alle generazioni successive. Antonio Pagliai, uno dei fondatori della casa editrice toscana, a cui erano arrivate diverse proposte biografiche, ne ha intuito il potenziale. È nato così Nonna raccontami, libro di 144 pagine, con 90 domande e altrettanti spazi bianchi da riempire con parole, immagini e alberi di famiglia.
Da allora ne sono state vendute 30.000 copie, con un picco molto alto durante le ultime vacanze di Natale, grazie a un fitto passaparola che ha funzionato meglio di una campagna pubblicitaria. Molte librerie, indipendenti e di catena, a dicembre si sono trovate impreparate di fronte a tante richieste e lo scorso gennaio Sarnus è dovuta ricorrere alla quattordicesima ristampa.
L’idea è piaciuta anche ad altri editori, come Nonna-Nonno, Giunti Demetra, Red Edizioni e Vallardi (con una collana della scrittrice olandese Elma Van Vliet), che hanno creato opere di vario tipo, con testi e immagini evocative della storia e della cultura italiana che ispirassero le risposte degli autori-lettori.
Sono poi nati altri libri, sia per Sarnus che per altri editori, dedicati a vari personaggi della famiglia piuttosto che a un caro amico. Sono stati inseriti spazi per annotare ricette e aneddoti, disegnare o attaccare fotografie e cartoline.
È un fenomeno interessante, a metà strada tra la lettura e la scrittura, tra il libro e l’album. Conferma che l’attaccamento alla famiglia è rimasto un valore fondamentale nel nostro Paese e ha il pregio di avvicinare i bambini all’oggetto-libro, in un momento in cui giochi e letture sono spesso legati alla tecnologia.
È, inoltre, un’occasione per far riflettere i lettori su come può nascere una storia scritta e su cosa merita di essere tramandato o meno. Non da ultimo, può rappresentare una valvola di sfogo per tutti coloro che hanno voglia di raccontarsi e raccontare la propria famiglia e una prima esperienza per chi ha voglia di cimentarsi nel genere.
Se poi si ha la certezza, o più umilmente la sensazione, che la propria storia possa attirare anche lettori estranei alla cerchia familiare, si troverà certamente il modo di tramandarla.