Prima di Black Mirror c’era Dead Set3 min read
Reading Time: 3 minutesDell’ultima, chiacchieratissima ultima serie di Black Mirror ho visto soltanto due puntate e, per quanto non ne abbia finora sentito parlare benissimo, devo dire che mi hanno piuttosto presa. Siamo forse lontani dai fasti di White Christmas o Fifty Millions Merits, ma lo spirito della serie, per me, permane in forze.
Black Mirror è uno dei prodotti seriali di cui si è parlato di più negli ultimi anni. Il fenomeno è partito in sordina, il format dopotutto non è tra i più usati. Se già c’è chi si stupisce per la struttura di True Detective, in cui trama e personaggi cambiano di stagione in stagione, figuriamoci per una mini-serie in cui ogni puntata presenta un’intera storia a sé e il cui collante consta unicamente nel macro-argomento del rapporto tra uomo e tecnologia.
Quando ho iniziato a guardare Black Mirror, avevo altissime aspettative. Non tanto per l’argomento né per l’originalità della messa in scena. Sicuramente hanno contribuito i pareri entusiastici di coloro che insistevano nel consigliarmelo, e tuttavia il punto era un altro: avevo già visto Dead Set.
Dead Set risale al 2008 e sono passati anni da quando, un uggioso pomeriggio autunnale, io e un paio di amici abbiamo iniziato a guardarla direttamente su YouTube. C’è poco da dire: saranno passati quattro o cinque anni, Netflix in Italia non c’era e non mi aspettavo che mi avrebbe presa così tanto. Iniziata dopo pranzo, finita la sera. Infiniti ringraziamenti telepatici a chiunque abbia avuto la gentile idea di caricarla su YouTube.
Creatura di Charlie Brooker, conta cinque puntate e può vantare una nomination a un BAFTA. È una serie horror sugli zombie, e questo potrebbe sembrare un punto di partenza piuttosto banale per una serie ideata dallo stesso creatore di Black Mirror. L’assunto di Dead Set si fa assai più interessante, però, se si considera che la vicenda è vissuta dal punto di vista dei concorrenti del Grande fratello inglese e da alcune persone a loro care, il cui intento è salvarle.
Come in Black Mirror, i personaggi sono vari e ben caratterizzati. I loro rapporti costituiscono una colonna portante della trama. Già allora Brooker sapeva che il prodigio più grande perde tutto il suo potere, se non possiamo a vederlo con gli occhi di personaggi con cui riusciamo a empatizzare.
Il punto di Dead Set come di Black Mirror, infatti, è cercare di far vivere agli spettatori qualcosa di assurdo, impossibile, ma non abbastanza lontano da impedirci di pensare a cosa faremmo noi in quella determinata situazione. Possiamo provare quello che provano i personaggi perché le loro reazioni sono vicine alle nostre. Esseri umani spiazzati, a contatto con situazioni inumane.
Cosa fanno le persone durante un’apocalisse zombie? Cosa fanno le persone intrappolate? E cosa succede alle persone che trascorrono settimane reclusi in uno stesso spazio? E alle dinamiche di gruppo?
Dead Set tenta di rispondere a questi interrogativi. Ci sono personaggi meschini, personaggi nobili. E soprattutto personaggi in cui si mescolano entrambe le cose, perché è così che funzionano gli esseri umani.
È interessante notare in Dead Set il seme di Black Mirror; la stessa morbosa curiosità nell’indagare il rapporto tra uomo e tecnologia, tra media e rapporti umani. Partendo, certamente, da un punto assai più vicino alla nostra esperienza e alla nostra cultura: del Grande fratello siamo ben più che sazi, e nessuno deve spiegarci come funziona un’apocalisse zombie. Ma lo spirito, il motore che soggiace alla serie, ecco, quello mi pare immutato.
Per quanto mi riguarda, merita ben più di una visione, e penso proprio che lo guarderò non appena avrò terminato l’ultima puntata di Black Mirror. Non in cerca di consolazione, ovviamente.