Fin dove può spingersi il fandom?3 min read
Reading Time: 3 minutesAvrei voluto iniziare questo articolo baldanzosamente, con una definizione chiara e precisa di fandom pescata dall’Urban Dictionary, di cui tendo a fidarmi quando mi trovo a dover fornire denominazioni accurate di un qualsivoglia fenomeno specifico. Peccato che la denominazione trovata mi abbia lasciato del tutto insoddisfatta, quindi cerco di darvene una io, anche se mi rendo conto che è assai probabile che, quando si parla di fandom, buona parte dei frequentatori dell’Internet sappiano già di cosa si sta parlando.
Il fandom è composto dall’insieme di appassionati di un dato prodotto culturale – sia esso libro, serie tv, film eccetera – che si riuniscono fisicamente o in comunità online di vario genere per fruire in compagnia del suddetto prodotto. Ivi iniziano le pratiche di fandom, che vanno dalla produzione di contenuti ispirati al prodotto – fanfiction, fanart, crackvideo e così via – alle chiacchiere più o meno complesse e impegnate, fino alla celebrazione del fandom stesso.
Ogni fandom è un universo a se stante, col suo linguaggio specifico e le sue consuetudini. Alcuni si mantengono attivi nel corso del tempo, altri esplodono per poi spegnersi come fuochi di paglia, certi si fondano su volontà di approfondire lo studio del prodotto a livello accademico, altri presentano soltanto un aspetto ludico-interattivo.
E dopo tutta questa pappardella dai toni fintamente accademici, passo a chiacchierare di quello che mi interessa realmente.
Il lato stupido dei fandom; le perle, le chicche, limitatamente alla produzione letteraria. Che comunque, come potrete constatare, basta e avanza.
Nel 1891 Arthur Conan Doyle, volendo togliersi un personaggio scomodo dalle scatole, ha ucciso Sherlock Holmes facendolo precipitare dalle cascate di Reichenbach, provocando una reazione di spropositato sdegno nella comunità dei suoi lettori; lo Strand Magazine che ne pubblicava le avventure vide l’annullamento di ben 20.000 abbonamenti, e moltissimi lettori indossarono un nastro nero al braccio in segno di lutto. Quello dedicato a Sherlock Holmes è riconosciuto nell’ambiente degli studi dei media come il primo fandom.
Esiste, ebbene sì, del complottismo interno ai romanzi di Jane Austen. A detta di Arnie Perlstein, le opere dell’autrice possono essere lette così come sono scritte, oppure tra le righe, attraverso il cosiddetto “Jane Austen Code”. L’autrice avrebbe lasciato messaggi sparsi qua e là per ampliare la possibilità di interpretazione delle sue storie. Ne emergono racconti di adulteri, omicidi e quant’altro.
Esistono cimiteri interattivi in cui è possibile lasciare un fiore in memoria dei vari personaggi deceduti di Game of Thrones; va da sé, si tratta di cimiteri parecchio affollati.
Se ci sono autori che incoraggiano e promuovono la produzione di materiali da parte dei fan, ce ne sono altri che la osteggiano al punto di arrivare alle vie legali: a scoraggiare la scrittura di fanfiction comprendenti i loro personaggi troviamo Anne Rice e lo stesso George R. R. Martin.
È possibile che Jane Austen si sia aggiudicata un primato storico, ovvero quello di essere la prima scrittrice al mondo omaggiata da una fan con la scrittura di una fanfiction; nel 1913 Sybil G. Brinton scrive Vecchi amici e nuovi amori, “un immaginario seguito dei romanzi di Jane Austen”, pubblicato in Italia dalla casa editrice Jo March nel 2013.
Charles Dickens finì di scrivere La bottega dell’antiquario (Old Curiosity Shoppe, 1841) con un’orda di fan riunita innanzi a casa sua, che lo implorava di risparmiare la vita del personaggio di Nellie. Così, giusto per non mettergli addosso troppa pressione.
Quando Tom Felton – colui che interpreta il personaggio di Draco Malfoy nella saga cinematografica di Harry Potter – era ancora minorenne e in visita negli Stati Uniti, uno fan si offrì di adottarlo, fornendogli i documenti necessari perché disconoscesse i suoi genitori.
E direi che possiamo concludere qui, sulle vicissitudini di un Felton minorenne alle prese con un folle. Augurandoci che l’accaduto non l’abbia traumatizzato a vita.