Un post di Licia Troisi su Rat-Man, che va in pensione5 min read
Reading Time: 5 minutesarticolo di Licia Troisi per Wired.it
Credo fosse intorno al 2000, o giù di lì. Di certo era un Natale, perché ero a casa dei miei zii, a Benevento, e lì all’epoca andavo per le feste. Ero davanti alla libreria di mio cugino, di questo sono sicura, perché era lui il mio spacciatore di fiducia di roba nerd: più grande di me di cinque anni, mi aveva già fatto conoscere i Cavalieri dello Zodiaco, che ci vedevamo insieme su uno di quei canali strani che a Roma non prendevo, PK e Berserk.
Fu lì, in quella stanza, che avvenne il primo contatto. Non so come, tra tutti i fumetti ne presi uno con uno strano tipo in copertina, giallo e con le orecchie da topo. Era Rat-Man. Credo fosse il primo numero, e fu letteralmente amore a prima vista. Mi colpì subito l’umorismo immediato e corrosivo, che mi fece sghignazzare da sola nella della stanza. Non sapevo che sarebbe stata solo la prima di molte risate in solitaria: a casa, in metro, in viaggio, ogni volta che leggevo un numero.
Cominciai a comprarmi la ristampa, che miracolosamente iniziò di lì a poco, e così divenni anch’io una lettrice regolare. I numeri sono in bella vista nella libreria dello studio di mio marito, consumati dalle molteplici letture, tranne gli ultimi dieci – anzi, per qualche giorno ancora, solo nove – della saga conclusiva, che sono qui davanti a me, nella libreria del mio studio. In parte li ho comprati, in parte mi sono stati dati quest’anno dall’organizzazione del Napoli Comicon, in qualità di giurata dal Premio Micheluzzi. Stanno lì, in mezzo a pupazzetti de I Mille Volti di Rat-Man, la statua di Cinzia che mi guarda col suo inconfondibile cipiglio fiero, e pelouche di Piccettino. In un canto, la foto che ci siamo fatti io e Leo Ortolani quasi un anno esatto fa, in occasione di una presentazione insieme.
Sì, sono una fan. Una fan vera. E così oggi, a pochi giorni dalla conclusione della saga, guardo a questi quindici anni insieme a Rat-Man, e mi sale il magone. Perché sta per uscire l’ultimo numero, la storia che metterà il tassello conclusivo a questa saga, splendida e complessa, e io un po’ non ci credo: nonostante sapessi che non era così, una parte di me era convinta che sarebbe andata avanti per sempre, che Rat-Man ci sarebbe stato a tempo indefinito.
È la forza dei personaggi inventati, no? Non muoiono mai davvero, non se ne vanno per sempre. Ritornano, ogni volta che riprendiamo in mano le loro storie, restano con noi, perché hanno contribuito a renderci ciò che siamo. Ma è solo un’illusione: possiamo ripetere all’infinito la loro storia, rileggendola, e amandola ogni volta come la prima, ma una conclusione ce l’hanno anche loro. E Rat-Man, più di tutti, ha un percorso chiaro, che conduce inesorabile al finale che presto leggeremo.
Ho ripreso in mano tutta la saga quest’estate, proprio per prepararmi al finale. Perché la sua storia conta 122 numeri, spalmati in quasi trenta anni di racconto, e ne ho riscoperto come la prima volta la straordinaria complessità, e la stratificazione di senso. Perché Rat-Man è certamente un fumetto comico. Si ride, tanto, a volte senza freni, a volte una risata a denti stretti. Ma non c’è solo quello. Sotto la risata, c’è la tragedia di ciascuno di noi: gettati in una vita che non capiamo («Quando sono nato ridevo sempre. Qualunque cosa vedessi, ridevo. Mi guardavo intorno e ridevo. Guardavo cosa mi davano da mangiare e ridevo. Guardavo i parenti che mi venivano a trovare e ridevo. Mia madre dice che ero un bambino molto simpatico. In realtà io continuavo a pensare: “È uno scherzo, vero?”.» tanto per citare il diretto interessato), dotati di corpi desolatamente inadeguati alle nostre ambizioni, puntiamo al cielo, ma ci mancano le ali. Ma la grandezza di Deboroh La Roccia, vera identità di Rat-Man, quella che manca a molti di noi, sta nella sua dimensione titanica: non ha poteri, è sotto tutti i punti di vista un inetto, ma non si arrende mai, guidato dall’unico desiderio di essere un supereroe. Anche se le prende sempre, anche se la vita lo colpisce duro e sotto la cintola, lui continua a guardare in alto, a indossare la maschera con le orecchie da topo e tirarsi su, ancora una volta.
Quando è rimasto solo, quando ha scoperto che la sua vita era una menzogna, quando ha perso chi amava e nell’Arena. Andare avanti, sempre, contro tutto e tutti. E se non siamo noi, se non è la vita, questa, non so cosa lo sia.
Impossibile citare tutta la mole di storie memorabili, di battute fulminanti, che hanno riempito questi anni irripetibili. Io e mio marito potremmo portare avanti un’intera conversazione solo a colpi di citazioni di Rat-Man, ridendo come degli scemi, o commuovendoci. Perché Rat-Man spesso colpisce basso, quando meno te l’aspetti, sparandoti tavole meravigliose che ti rivelano a te stesso, piazzando là lo snodo di trama che ti sorprende, la mazzata sui denti che ti lascia senza parole. E impossibile è elencare anche solo parzialmente la moltitudine di temi sui quali il nostro eroe con le orecchie da topo e il muso da scimmia ci ha fatto riflettere: la guerra, la morte, dio. E i personaggi indimenticabili che ha messo in scena, Cinzia su tutti, fragile e forte al tempo stesso, che non vuole essere null’altro che ciò che è, per usare le parole del suo stesso creatore, un’eroina indimenticabile che io personalmente spero di rivedere presto. Rat-Man è un intero mondo che ci ha arricchiti per tanti anni, in cui perdersi per ritrovarsi. E che adesso si chiude. Ed è giusto così.
Ogni cosa bella ha una fine, e quella di Rat-Man fin qui è stato un finale col botto; sono sicura che neppure l’ultimo numero ci deluderà, e sarà la pennellata conclusiva su un grande affresco, che è cresciuto con noi, e col quale noi siamo cresciuti. E se anche, parola di Leo Ortolani, Rat-Man tornerà, la sua storia, quella che abbiamo seguito fin qui, finirà tra pochi giorni, lasciandoci in bocca il sapore dolce amaro di una straordinaria avventura finita.
Addio, Rat-Man, e grazie per tutto quello che ci hai dato.
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