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Fuga da Oakville: un finto documento a supporto della narrazione3 min read

22 Settembre 2017 3 min read

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Fuga da Oakville: un finto documento a supporto della narrazione3 min read

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“Naturalmente, un manoscritto”, così si intitola l’Introduzione de Il nome della rosa di Umberto Eco, romanzo in cui lo scrittore, giornalista e semiologo piemontese riprende una particolarissima tradizione letteraria italiana, quella che passa per Manzoni e I promessi sposi, per intenderci. Come per Manzoni, infatti, anche nel caso di Eco il manoscritto di cui si parla non esiste, è una finzione letteraria a supporto la finzione stessa. È uno strumento narrativo utile a regalare alla storia un piacevole aspetto realistico, anche se il lettore ne conosce sin dal principio la falsità; un espediente che cerca di creare un senso di autenticità al di là della normale e prevista sospensione dell’incredulità che il racconto dovrebbe invece suscitare.

I Promessi sposi e Il nome della rosa non sono gli unici esempi di questo tipo di “finzione” e non staremo qui a fare un elenco. Gli amanti di H.P. Lovecraft però conoscono bene le conseguenze che una scelta letteraria del genere può avere sul proprio sense of wondering. Il Necronomicon infatti, con tutto l’immaginario oscuro che è riuscito a evocare, ha affascinato per anni, e continua ad affascinare tutt’ora milioni di lettori, come se fosse un libro maledetto esistente per davvero. E magari lo sanno anche i più sofisticati di voi che hanno adorato Finzioni (mai nome fu più azzeccato) di Jorge Louis Borges, un vero e proprio inno alla letteratura post-moderna. Questa è una antologia di racconti, se vogliamo essere riduttivi. In realtà ci troviamo di fronte a un campionario di recensioni di libri mai esistiti, storie (falsamente) vere e documenti inventati, trattati come fossero fonti inequivocabili.
Questa lunga premessa per preparare il terreno a Fuga da Oakville, un racconto fantasy pubblicato su Penne Matte, a opera di Claudio Coco. Il racconto si apre proprio con una dichiarazione simile a quelle precedenti: “Il diario di George Rainer, scritto in latino antico, presenta un interessante spunto di riflessione sulla veridicità degli eventi narrati…” Anche qui, naturalmente, un manoscritto.

George è un ragazzo che vive con la sua famiglia nella cittadina di Oakville, sorridente e spensierata, nella quale le guardie non si allenano perché c’è poco da cui proteggerla, trovandosi questa naturalmente circondata da una gola rocciosa. Tuttavia, un giorno i genitori e la sorellina di George vengono bruciati su un rogo, da alcuni cavalieri considerati da George stesso come dei familiari. Il giovane rimane inizialmente esterrefatto dinnanzi all’avvenimento, ma poi la sua reazione avventata lo spinge ad attaccare gli uomini. Una guardia, davvero amica questa volta, lo ferma e lo dissuade da azioni che lo porterebbero a morte certa.
Xhoi, la guardia, decide di aiutarlo, lo nasconde in una cassa nel suo carro e lo porta via da Oakville. Durante il lungo viaggio nascosto, il ragazzo medita la vendetta, e le sue intenzioni si inaspriscono ancora di più quando viene a scoprire che i motivi che hanno portato alla morte della sua famiglia sono di natura superstiziosa e religiosa. I due quindi, in qualche modo decidono di pianificare una sorta di rivolta contro questa vera e propria istituzione del terrore.
Il racconto è incompleto, forse ne leggeremo il seguito tra qualche tempo. In ogni caso mi è piaciuto, durante la lettura, pensare a questo racconto davvero come a un frammento non organizzato di un qualche documento antico, abbandonato nel tempo e arrivato ai posteri nella sua parzialità. E non è importante se, al di là di una finta testimonianza, ci troviamo comunque di fronte a un mondo che non potrà mai esistere, per ovvie ragioni. D’altronde anche Tolkien si è inventato un vero e proprio mondo, e ha scritto (non solo immaginato) interi documenti, alberi genealogici, testimonianze sulla sua Terra di Mezzo, e riuscendo comunque a dare, con la sua opera, un giudizio sulla società a lui contemporanea.

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