Una chiacchierata con Fabio Carta, sul cyberpunk e sull’editoria in Italia6 min read
Reading Time: 5 minutesFabio Carta, classe 1975, è un autore appassionato di fantascienza e dei classici della letteratura. Laureato in Scienze Politiche con indirizzo storico, ha al suo attivo la saga fantascientifica Arma Infero, una serie che a oggi conta due romanzi (Il mastro di forgia, 2015 e I cieli di Muareb, 2016) e il racconto lungo Megalomachia (Delos Books, 2016), scritto unitamente alla finalista del premio “Urania 2016”, Emanuela Valentini. Ha inoltre partecipato con importanti firme della fantascienza italiana all’iniziativa benefica Penny Steampunk (2016), da cui è nato un volume di racconti fantastico-weird a cura di Roberto Cera. Lo abbiamo intervistato per chiedergli un po’ del suo ultimo romanzo, del suo approccio al genere come autore, e anche la sua opinione sulla situazione dell’editoria in Italia.
Il tuo ultimo lavoro, Ambrose, si rifà ai canoni del sottogenere fantascientifico del cyberpunk. Quali sono le letture che più ti hanno influenzato e quanto e in che modo, secondo te, un genere particolare come questo riesce a interessare il pubblico.
Il cyberpunk per me è la fantascienza: dopo Asimov e altri mostri sacri della space opera classica, è con Gibson e Sterling che ho cominciato ad appassionarmi al genere. Appassionarmi in maniera attiva, creativa, immaginando, esaminando quanto leggevo non solo per la godibilità dello scritto, ma anche per l’impressione e la plausibilità di quanto veniva raccontato. Il cyberpunk, a mio avviso, sotto questo punto di vista risulta imbattibile. Molto più vicino al presente, o meglio ai difetti del presente che esaspera, perde un po’ d’epica per creare generalmente un ritratto della società umana più complesso, contraddittorio e reale di molte altre visioni fantascientifiche. E poi è l’apologia degli anti-eroi, dei combattenti sporchi, dei ladri, hacker, approfittatori, parassiti di un sistema di capitali, tecnologie e soprusi che ha del disgustoso e dell’alieno; e che in quanto tale, e solo per questo, ci consente di immedesimarci con chi, gli antagonisti “punk” cibernetici, questo sistema fondamentalmente lo combatte. Anche se spesso cinicamente per il proprio interesse. Il vero cyberpunk non racconta storie dal punto di vista della “sala dei bottoni”, non ci sono le sorti dell’umanità messe nelle mani di pochi personaggi, buoni o malvagi. E quando questo accade è sicuramente frutto di un caso fortuito, non certo di un degno coronamento di innegabili virtù (o vizi) del personaggio in questione. La narrazione non è quindi discendente dalle vette inarrivabili degli eroi epici, eletti, predestinati et similia, ma sgorga, erutta spontaneamente dall’humus degli strati inferiori, ascendendo a lambire, quando capita, le trame più importanti delle vicende umane. E se succede, nessuno, nel caleidoscopico caos del mondo post-post-moderno transumanista, potrà mai dire come sia avvenuto. È un’anarchia da ammirare, da gustare, non da capire. Perché è impossibile, proprio come nella realtà. Dico tutto questo per rispondere alla domanda: perché il cyberpunk? Perché è una maniera, se non l’unica, di leggere fantascienza matura, finalmente libera dagli stereotipi ingenui che ci trasciniamo dalle rappresentazioni stucchevoli della Golden age, diffuse poi al grande pubblico con Star Wars e Star Trek. Non che non mi piacciano. Ma il cyberpunk, ragazzi, è un’altra cosa.
Hai pubblicato con diverse case editrici italiane. Ti va di raccontarci come è stata la tua esperienza a riguardo? La situazione editoriale in generale, e in particolare quella di genere, è florida o sta affrontando una crisi profonda?
Le mie esperienze sono un frutto di casualità, fortuna e cocciutaggine. Nella prima ho semplicemente sparato nel mucchio e mi sono sbrigato ad accettare quanto mi è stato offerto. E, come ho detto, sono stato fortunato. Così come mi è poi capitato con il mio ultimo lavoro, l’entusiasmo dell’editore ha fatto il paio con la sua inesperienza in termini di fantascienza. Una curiosa combinazione che ha consentito ai miei lavori, di cui certo non sarò io a negare le qualità, di essere celermente accettati e pubblicati. La conferma al fatto di saper scrivere fantascienza mi è poi venuta dalla pubblicazione con Delos, specializzata nel settore, e dalle amicizie che ho stretto negli anni con altri autori. Nell’ambito della fantascienza italiana siamo veramente quattro gatti, e alla fine si finisce col conoscersi tutti. La situazione editoriale? Una pena. Parliamo di cifre ridicole, e mi riferisco al numero di vendite, non certo ai ricavi. Quest’ultimo argomento non voglio proprio toccarlo. Ah! Se dovessi vivere di scrittura…
Cosa pensi del self-publishing? La possibilità di autopubblicarsi è un sacrosanto diritto di tutti o solo un elemento di “disturbo” in un mondo (e in una Italia) ricco di scrittori e povero di lettori?
La risposta politically correct è che il self può benissimo essere un grande contenitore anarchico di contenuti, e che tra tanti lavori approssimativi e derivativi del momento possa celarsi il capolavoro del secolo. La verità? Il self è spazzatura. Già nell’ambito della mini e micro editoria da me bazzicato gira della roba improponibile, sia a livello di contenuto che di realizzazione concreta. Ma perlomeno le velleità artistiche del soggetto devono aver superato un parere che va al di là del compiaciuto sorriso della ragazza o quello inorgoglito della propria mamma. Un estraneo, almeno uno, ha letto il tuo libro e ha detto che gli è piaciuto al punto da spendere, non dico soldi (per gli ebook), ma almeno un po’ di tempo per impaginartelo. Meglio di niente, no? Un filtro che ostacola e scoraggia, forse, ma che seleziona a monte tanta roba veramente indecente. È come far pagare un euro all’ingresso dei musei: è una cifra che non impedisce al povero appassionato di godere delle opere d’arte, ma scoraggia il bifolco dall’andare a intasare stanze piene di capolavori che non comprenderebbe mai e poi mai. Rovinando con la sua presenza il bel nome del museo, magari, o di tutti i musei. E impedendo al povero appassionato di fare quello che gli piace fare.
E il web? Può aiutare davvero uno scrittore emergente a trovare la sua collocazione? Una community di autori e scrittori come quella di Penne Matte può essere una buona vetrina? (Domanda banale, visto che ci hai messo l’estratto del tuo romanzo!)
Senza il web non avrei mai, e dico mai, potuto promuovere i miei romanzi con profitto. Non avevo e non ho l’esperienza giusta come PR, e non ho le risorse per pagarmi (ops, far interessare a me) un agente del settore. Pensa che il mio profilo Facebook l’ho creato proprio come strumento di pubblicità e relazioni sociali nell’ambito: prima non sapevo nemmeno cosa fosse un social. Ho cominciato a leggere di scrittura proprio su una community come Penne Matte: ho appreso mille segreti, consigli, o più semplicemente link e indirizzi delle varie case editrici. Non so cosa avrei mai potuto combinare senza la solidarietà e la mutua assistenza di altri scrittori emergenti… lo so detta così fa un po’ società segreta.
Raccontaci un po’ dei tuoi progetti futuri. Cosa hai in cantiere? Romanzi, racconti, collaborazioni…
Progetti? Dovrebbe uscire a breve il terzo volume della mia saga Arma Infero, se l’editore è d’accordo, ovviamente. Il romanzo è già bello che scritto e aspetta solo il… momento giusto del mercato! Fosse che divento ricco stavolta, ah! Per il resto sto scrivendo un altro romanzo che si potrebbe definire cyberpunk, o cyber-dirty space opera, che dir si voglia. Una storia di miseria umana, tra materialismo, avidità e passioni incontrollabili sullo sfondo di una società umana del futuro, dispersa nelle isolate bolle spazio-temporali dell’universo relativo di Einstein.
Grazie ancora per la tua disponibilità e a presto!
Grazie a voi per la possibilità di questo sfogo, perlopiù. Ma non ci badate, il mio umore è dovuto solo al livello delle vendite dei miei libri. Di questo passo questo mese non riuscirò a pagare la rata del Porsche. Ah, ah! Comprate i miei libri, per favore! Un grande saluto. Ciao.