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L’arte della gioia di Goliarda Sapienza – recensione3 min read

27 Agosto 2017 3 min read

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L’arte della gioia di Goliarda Sapienza – recensione3 min read

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Quello che sembra uno pseudonimo è un nome vero: Goliarda Sapienza all’anagrafe è Goliarda Sapienza. Una donna nata a Catania nel 1924 e morta a Gaeta nel 1996, prima che scrittrice attrice teatrale. Figlia di Maria Giudice, prima donna dirigente della Camera del Lavoro, al cinema la vediamo in brevi apparizioni. Il suo esordio alla letteratura arriva negli anni Sessanta, dopo la morte della madre, evento che la segna moltissimo. Goliarda intende la lettura nel più letterario dei modi, ovvero come campo di confronto con i propri demoni: ammalata di depressione tenta il suicidio due volte, passa attraverso l’elettroshock e si mette in analisi; nel suo “curriculum di vita vissuta” anche un’esperienza in carcere a seguito del furto di alcuni gioielli (esperienza che sarà da spunto al libro L’università di Rebibbia). Nel 1969 si dedica alla scrittura del suo romanzo più ambizioso, L’arte della gioia.
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Un romanzo corposo, di oltre 500 pagine, scritto con uno stile particolare e che, attraverso la figura di Modesta, donna nata in Sicilia il 1 gennaio del 1900, racconta i fermenti che hanno segnato il secolo scorso. Terminato nel 1978, L’arte della gioia viene rifiutato da una sfilza di editori fino a quando non è pubblicato postumo da Stampa Alternativa. La casa editrice è piccola, la cassa di risonanza non raggiunge il pubblico ma l’interesse di editori francesi e tedeschi che lo traducono. A quel punto Einaudi decide di pubblicarlo nel 1998. Goliarda è morta, sola, in una casa a Gaeta, il cadavere ritrovato qualche giorno dopo. Come racconta un’amico in un documentario (sotto) che le è stato dedicato, nemmeno al funerale, si parlò di lei come di Goliarda scrittrice, ma di Goliarda amica o attrice.

Oggi Goliarda Sapienza è un’autrice tradotta in quindici lingue e distribuita in 28 paesi. L’arte della gioia non è un romanzo semplice. È scritto con una prosa personale, i cui ritmi riprendono il siciliano parlato; a volte l’autrice passa dalla prima alla terza persona; i dialoghi, spesso, si svolgono per pagine e pagine e sembrano non approdare a nulla di sostanziale con i personaggi colti nella loro intimità a confrontarsi sui propri sentimenti. Ma una volta accordato il proprio pensiero alla voce di Modesta, la protagonista, la lettura ti prende e finisci il romanzo senza problemi. Un romanzo che racconta la storia di una donna che ribadisce il proprio diritto alla felicità e all’amore, senza vincoli morali.
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SPOILER Modesta uccide per uscire da un convento-prigione di suore e per divenire di fatto erede di una principessa sotto la cui tutela era stata affidata. Si sposa con un handicappato per garantirsi l’eredità, ha amanti uomini e donne, si vendica commissionando omicidi FINE SPOILER, insomma, i gesti che compie basterebbero a mandare un crisi un qualsiasi personaggio di romanzo esistenzialista moraviano, a farlo sprofondare nella spirale degli alibi e dei sensi di colpa, Modesta no, compie il crimine senza analizzarlo, senza essere sfiorata dal rimorso, convinta di essere nel giusto.
L’amore, per lei, è la causa che legittima qualsiasi ingiustizia. E l’amore represso, soffocato è il peggior male che si possa fare a se stessi o a chi ci è vicino. Soprattutto, questo romanzo, sembra volerci dire che l’amore vissuto sinceramente, fino in fondo, non può che portare bene agli altri. L’amore quando è vissuto incondizionatamente, al di là dei paletti morali e delle convenzioni, genera gioia collettiva non solo individuale. L’arte della gioia e l’arte dell’amore, anche dell’amore che fa soffrire, sono due facce della stessa medaglia. ll romanzo ci spiega questo. E lo fa immergendoci nelle atmosfere della Sicilia del primo Novecento, nei fermenti sociali e politici del tempo, con una trama che a tratti sfiora il feilleutton amoroso, e delineando una figura di donna che, nella ricerca della sua indipendenza non cede alla propria femminilità, ma anzi, la esprime al meglio.
Davvero un romanzo da leggere e davvero un peccato che l’autrice non sia qui a raccontarci la gioia che ha provato scrivendolo.

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