Scribacchiolando, quando la scrittura è piena di noi3 min read
Reading Time: 3 minutes
Quella che mi accingo a scrivere sarà senza dubbio alcuno una delle mie puntate preferite di Scribacchiolando; al centro v’è un tema che mi figuro comune a chiunque si sia mai cimentato con la scrittura, perché viene da quel bisogno umano che è l’immedesimarsi, l’idealizzarsi, il sognarsi.
Mi sono fatta un po’ di idee sulla scrittura, nel corso degli anni. Perlopiù mi sorgono quando mi si intoppa il processo creativo e, incapace di portare avanti una storia, mi viene da perdermi in sproloqui interiori su come si dovrebbe portare avanti una storia. Capita, no?
In mezzo a quest’incoerente marasma di idee e ipotesi ci sono pure le considerazioni su quello che dovrebbe fare di un aspirante scrittore, uno scrittore maturo.
“Maturo è lo scrittore che non cede la propria opera a se stesso”, a volerla dire perché suoni bene.
“Diventi uno scrittore vero nel momento in cui la scrittura smette di essere un sogno messo per iscritto in cui sublimi le tue battaglie perse e le tue brutture, e riesci a creare storie di cui non sei protagonista, e smetti di consolarti per quello che la vita non ti ha dato”, a volerla dire perché si capisca.
Tra le medie e le superiori ho scritto innumerevoli storie che mi avevano come protagonista; in una partivo con amici inventati verso la Norvegia su un camioncino scassato, in un’altra ero una mezzelfa con immensi poteri, in un’altra ancora comandavo un esercito. Perché non ce l’abbiamo manie di grandezza qui, eh.
Il fatto è che, va da sé, si trattava di storie profondamente immature, in quanto prive di un vero e proprio protagonista. Che dopotutto quella protagonista ero io, che piegavo la trama ai miei desideri, come fosse una fantasia destinata a rimanere soltanto nella mia testa. Intendiamoci, non avevo smanie di pubblicazione, ai tempi non scrivevo che per il mio personalissimo piacere. Ma era piacevole pure leggerle, quelle storie che mi riguardavano, quindi andava bene così.
C’è un dubbio, però, che non mi abbandona mai quando scrivo. In quello che scrivo, quanto di me sto mettendo, e per quale motivo? Starò cercando di raccontare una storia o di raccontarmi una menzogna? È quello il punto.
Non che si possa mondare del tutto se stessi da un racconto, è quasi questione di genetica. E da qualche tempo che, ammetto, progetto un paio di trame più o meno brevi in cui mi piazzo, me medesima con tutta la mia narrativa baldanza, come protagonista e voce narrante. Ma c’è consapevolezza, in questa scelta, ed è assai probabile che nel tentativo di non finire a scrivere una lode a me stessa, mi massacrerò come aspirante scrittrice e come essere umano.
Non sarei l’unica, dopotutto, ad aver compiuto questa scelta.
Andrea J. Pinketts, per dire, vive all’interno dei suoi libri da anni, sotto lo pseudonimo di Lazzaro Santandrea.
Qual è il punto attorno al quale sto girando incessantemente?
Il punto è che scrivere può essere un piacere, un divertimento, una sfida; può essere terapeutico, rilassante, una valvola di sfogo. Può essere qualsiasi cosa, perché nulla dovrebbe frapporsi tra noi e la pagina bianca.
A meno che. A meno che quella pagina bianca non la si voglia riempire perché ne usufruiscano anche altri. I Lettori.
A quel punto la scrittura diventa qualcosa di più; impegno, fatica, sangue e maledizione. E poi tutto il resto, certo.
Che non è certo poco.