Romero, gli zombie e la metafora del clickbaiting2 min read
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È morto George A. Romero, il papà degli zombie. Il regista, nato a New York nel 1940, era conosciuto a livello mondiale per La notte dei morti viventi (1968) film su un gruppo di ragazzi trincerati in una casa che viene assaltata dagli zombie da un vicino cimitero. Per la verità, già prima lo zombie era apparso al cinema, ad esempio nel lontano 1932 con White Zombie, dove i morti viventi erano resuscitati da un negromante di Haiti. Con Romero la figura dello zombie entra nel cinema di genere, lo trasforma e ne esce per popolare altri ambiti dell’intrattenimento: i videoclip (Thriller di Michael Jackson), il fumetto e le serie tv (The Walking Dead), i videogiochi (Resident Evil), perfino la commedia adolescenziale (Warm Bodies).
Nessuno avrebbe immaginato che lo zombie, così come l’aveva concepito Romero, potesse sopravvivere tanto. Perché la sua figura è rimasta uguale a se stessa, al massimo è mutata a livello allegorico rispecchiando ora la paura della guerra fredda e del nemico sovietico (La notte dei morti viventi) ora quella di una pandemia (World War Z). Lo zombie è un morto più che resuscitato, riabilitato alla vita attraverso una motilità stentata, affamato di carne umana e che, nella maggior parte dei casi, deve essere colpito in testa per venire abbattuto. Nient’altro. Se parlasse, piangesse smetterebbe di essere zombie. Se avesse un passato, lo stesso. Vive in un eterno presente di putrefazione e versi simili a conati. C’è niente di più riduttivo e noioso?
Eppure, a partire da Romero questo archetipo horror deve la propria fortuna alla sua immutabilità che ne sancisce anche l’adattabilità ai tempi e agli scenari. La morte non passa mai di moda, nemmeno la trasfigurazione ad essa più vicina che la mente umana abbia partorito: un cadavere animato. Persino Game of Thrones non ha rinunciato agli zombie ed è riuscito a renderli figure tutt’altro che noiose attraverso gli estranei, i misteriosi abitanti al di là della barriera, resuscitati dall’oscuro Night’s King. Tornando all’aspetto allegorico, se ci chiedessimo che cosa rappresentano oggi gli zombie, propendere per la navigazione mirata ad aumentare il traffico utenti, la socializzazione di contenuti tramite foto e titoli accattivanti che generano lenzuolate di commenti senza aver letto il pezzo. Il sensazionalismo esercitato dalla stampa sui social per innescare un interesse che si ferma al like. Il vuoto dei contenuti riempito con una reazione ossessiva degli utenti, come ossessive e inarrestabili sono le ondate di morti che in un film di zombie che si rispetti si ammassano contro una casa o fluiscono per le strade.
Lo zombie come il clic compulsivo, insomma: un gesto uguale a se stesso, ripetuto, che potrebbe andare avanti per sempre.
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