blog di Alberto Grandi
Cose da scrittori

Scribacchiolando, del chiedere ad amici e parenti di leggere le nostre opere3 min read

15 Luglio 2017 3 min read

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Scribacchiolando, del chiedere ad amici e parenti di leggere le nostre opere3 min read

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Quando scrivo le varie puntate di Scribacchiolando, mi metto spesso a chiacchierare di come io abbia ricominciato a scrivere da poco, questione davvero di settimane più che di mesi; e di come io sia ancora arrugginita, dei mille dubbi che mi attanagliano, delle mille domande su come sia meglio muovermi, che il mio stesso funzionamento come scrittrice mi è mezzo estraneo.
Ecco, oggi ho riscoperto un’ansia che avevo dimenticato, o che forse non avevo mai sperimentato. Quella del farsi leggere. Ma non da gente lontana, che mi conosce soltanto attraverso uno schermo. Per quanto mi riguarda, farsi leggere dagli sconosciuti è facile. Anche dovessero lanciarmi critiche al vetriolo o invitarmi a riscaldare la Groenlandia usando le mie storie come combustibile, non mi ferirebbe più di tanto. E questo non perché non dia peso alle parole dei lettori, anzi.
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Il punto è che quei lettori, quelli per i quali non ho un volto e che per quanto ne sanno potrei pure chiamarmi Gianfranco Lo Muscolo e farmi i baffi col decespugliatore, ecco, non hanno un’immagine di me come persona. Non mi conoscono, io non conosco loro e va bene così, a legarci in caso non ci sarebbe nulla a parte quel filo sottilissimo che è un racconto.
Ma gli amici, i parenti, i colleghi?
Ecco, il loro parere mi spaventa. E la cosa, oltre ad essere orrendamente scomoda, un po’ mi sconcerta. Dico che è scomoda perché tra le mie conoscenze ce ne sono diverse il cui parere letterario riveste per me un’importanza cruciale, e la loro opinione potrebbe aiutarmi non poco a migliorare e a scovare le mie falle. Ho diversi amici che si dilettano pure a scrivere – o che scrivono con quell’impegno frustrante e doloroso che definire “diletto” è quasi delittuoso – e con loro disquisisco di trame e costruzione di mondi ogni volta che posso; e tuttavia, oggi ho incontrato quel timore di cui dicevo all’inizio.
Ho scritto un racconto, e l’ho mandato a un amico perché mi desse un parere. E non dirò che ne ha detto, perché non c’entra col tema di questa puntata.
Ma diamine, quel timore. Quel disagio.
E se avessi scritto una colossale cavolata? E se il mio scrivere male fosse indice di un’intelligenza ben al di sotto della media? Se non fossi che una menzogna, se stessi da anni mentendo a me stessa sulla mia capacità di scrivere? Magari sono anni che scrivo male la stessa parola “scrivere”, e nessuno mi ha mai voluto dire che la dicitura corretta del termine è “sckrivere”.
Da un lato mi verrebbe da pensare che le persone a cui tieni sono quelle davanti alle quali puoi fallire ed essere debole e miserando.
Dall’altro, poiché una cosa sono i princìpi e ben altra cosa è la realtà dei fatti… diavolo, no. Sono proprio gli amici quelli a cui mi scoccerebbe fare sublime mostra d’incapacità.
E a questo punto ci terrei davvero a sapere come la vivono gli altri, il doveroso passaggio del far leggere le proprie opere a chi di vicino a noi ne capisce.
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