Scribacchiolando: sulle storie degli altri3 min read
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Ho iniziato a scrivere più o meno nello stesso periodo in cui ho imparato a leggere; dai sei anni in poi la mia vita è stata a stretto contatto con la narrazione. Va bene, all’inizio era la narrazione di pochezze e facezie; prima le mie giornate, poi i miei sogni. Poi sono arrivati i personaggi, lo sviluppo, quello che si può definire “trama” a dare un senso ai pomeriggi passati a scrivere in soffitta – che io andavo matta per la soffitta, in nessun posto mi sentirò più così a casa.
Ho sempre scritto, dicevo, e come tutti coloro che scrivono ho sempre amato parlare di scrittura; soprattutto quella degli altri, che ho questa fissazione stupida che se parlo di una mia storia farò arrabbiare i personaggi, e quelli andranno via, lasciandomi senza nulla di cui scrivere. Superstizioni sceme. Alcuni scrittori ne hanno; altri hanno quella che i semplici chiamano “vita”.
Le storie degli altri.
Ecco, c’è una cosa che ho imparato in tempi relativamente recenti, una lezione base di rispetto e limiti che sono assai lieta di essere riuscita a introiettare prima che qualcuno mi sputasse in faccia.
Le storie degli altri sono degli altri. Letteralmente.
Sì, ok, grazie al piffero. Questa puntata di Scribacchiolando potremmo intitolarla “La Leggivendola pleonastica”. Oppure “Come scrivere un articolo sulla scrittura basato sull’ovvietà” – che comunque non è neanche un argomento malvagio, me lo terrò a mente per i pomeriggi senza idee.
Siamo tutti d’accordo, è bello confrontarsi con altri creatori di storie, discutere di quello che fa o farebbe un personaggio, di come andrebbe spezzettata nel tempo la descrizione di un contesto, e poi ‘sto colpo di scena non è troppo annunciato, o peggio, troppo improbabile? Spesso siamo ciechi ai nostri errori ed è necessario un calcio dall’esterno per svegliarci. Discutere non è solo interessante, è necessario.
Consapevolezza che rende ancora più ridicola la mia fissazione, per dire.
Ma delle storie degli altri, ecco, di quelle mi piace parlare.
Il problema sorge in quanto la prospettiva di chi crea storie è diversa da quella di un comune fruitore; chi crea storie ha i suoi meccanismi, vede una trama e gli viene automatico continuarla per conto suo, secondo i suoi gusti.
C’è stato un periodo in cui le storie degli altri rischiavo di fagocitarle. I miei non erano suggerimenti né commenti, erano proprio appropriazioni. I miei consigli volevano indicare all’autore quella che consideravo la strada migliore, ma quello che rischiavo di fare era di fare mia una storia che non mi apparteneva. Che i miei pareri fossero basati su ragioni obiettive o soggettive non ha la minima importanza; i gusti sono gusti, e chi scrive può anche sbagliare rimanendo nel giusto.
La magia della narrazione.
C’è voluta un’amica a rispondermi secca che una storia era sua, per risvegliarmi.
È successo anni fa, ma ancora me lo ricordo. Si è stretta al petto i suoi personaggi come se avessi cercato di rapirli. E un po’ era così, effettivamente.
E il senso di questa puntata di Scribacchiolando, così inutilmente lunga, è tutta qui.
Lasciate stare le storie degli altri. Ascoltatele, capitele, date liberamente i vostri pareri. Ma poi fatevi signorilmente gli affari vostri.