Gli incipit mosci dei romanzi fantasy e il complesso della Genesi4 min read
Reading Time: 4 minutes
Tempo fa ero a un corso di scrittura creativa. Si parlava di incipit. Ad un certo punto, l’insegnante – autore di parecchi romanzi di discreto successo, la maggior parte di genere storico – aveva detto che Il signore degli anelli “vantava” l’incipit più moscio di sempre.
È così?
Rileggiamolo.
“Quando il signor Bilbo Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione. Bilbo era estremamente ricco e bizzarro e, da quando sessant’anni prima era sparito di colpo, per poi tornare inaspettatamente, rappresentava la meraviglia della Contea”.

Vi dirò: non lo trovo così tremendo.
Certo è che se non sapessimo che è l’incipit forse del romanzo fantasy più celebre di sempre e se volessimo scegliere la nostra prossima lettura sulla base delle prime righe, quelle di Tolkien non ci elettrizzerebbero.
Forse, troveremmo più accattivante l’incipit di un altro classico del fantasy (che molti considerano una “brutta copia” del Signore degli anelli), La spada di Shannara:
“Il sole tramontava già fra le profondità verdi delle colline a ovest della vallata, e le sue ombre rosse e rosate sfioravano gli angoli più remoti della campagna, quando Flick Ohmsford cominciò la sua discesa. Il sentiero calava giù irregolarmente per il pendio settentrionale, serpeggiando attraverso i massi imponenti che costeggiavano il terreno, sparendo nelle folte foreste delle pianure per ricomparire a tratti nelle piccole radure e negli spazi liberi della zona dei boschi”.

Già qui il lettore, insieme al personaggio, si trova in una situazione più dinamica che promette avventure: il sole che tramonta, un sentiero che immette nella foresta.
Ancora meglio, fa il primo libro delle Cronache di Narnia di C. S. Lewis:
“In quei tempi Sherlock Holmes abitava ancora in Baker Street e i sei ragazzi Bastable cercavano tesori in piena Londra, sulla Levisham Road. Allora gli insegnanti erano più severi di adesso e se eravate maschi vi costringevano a portare un fastidiosissimo colletto inamidato. Però si mangiava meglio : per quanto riguarda i dolci , non vi dico quanto erano buoni e a buon mercato perchè non voglio farvi venire inutilmente l’acquolina in bocca”.
Questo è quello che io definisco un incipit emancipato, senza complessi. L’autore non si fa problemi di cominciare nel più classico del modi (“Questa è una storia di tanto tempo fa”), né a contaminare la sua opera con altri universi letterari (“In quei tempi Sherlock Holmes abitava ancora in Baker Street…”), cala subito il lettore nelle convenzioni del tempo, ma con un linguaggio diretto e fresco, come a prenderne le distanze (“…gli insegnanti erano più severi di adesso…”), infine parla di cibo, dolci per la precisione, come se prima di trattare ben altro intendesse stabilire un rapporto di confidenza con il lettore (un po’ come un agente assicuratore che a un pub offra la birra a un suo potenziale cliente).
Amo questo incipit. Come amo naturalmente quello di Anna Karenina – “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo” – o di Moby Dick – “Chiamatemi Ismaele”. Sono incipit di romanzi importanti, imponenti, epocali che partono senza darsi importanza, senza far sentire l’importanza delle proprie intenzioni o l’imponenza della loro epoca.
Tornando al Signore degli anelli: sì, forse l’incipit non è tremendo, ma ammoscia un po’. C’è un eccesso di avverbi – estremamente, inaspettatamente – quel “sontuosissima” davvero fastidioso. L’unica cosa degna di interesse è il fatto che c’è un tizio che ha 111 anni.
Il problema dei romanzi fantasy è insito nelle intenzioni dell’autore nel momento in cui comincia a scrivere. Spesso e volentieri, un romanzo fantasy racconta un mondo a sé, un mondo che, nel corso della trama, compirà una parabola insieme al suo eroe. Si comincia con piccoli paesini in verdeggianti contee per terminare con scontri epocali e in mezzo ci s’infilano eroi, leggende, miti, culti, razze eccetera. Ogni romanzo fantasy è un po’ come la Bibbia del mondo che intende descrivere, di conseguenza l’incipit soffre la pesantezza di una Genesi che tarda a diventare azione.
Questo, spesso, si traduce con descrizioni di paesaggi, di vissuti quotidiani nei confini di pacifici villaggi o prologhi su battaglie anteriori alla vicenda stessa che s’intende raccontare ma che ne sono inevitabile punto di partenza. E quindi aggettivi, avverbi, digressioni, periodi lunghi.
Questa lentezza l’ho riscontrata anche qui, su Penne Matte, leggendo le anteprime di alcune opere caricate nella sezione Fantasy.
Voi che ne pensate, Il signore degli anelli ha l’incipit più moscio di sempre?
La prosa dei romanzi fantasy non andrebbe sveltita? Oppure il fantasy classico richiede un passo, un respiro ampio, solenne e biblico che ormai gli è proprio?