Scribacchiolando, e se i GDR fossero utili?2 min read
Reading Time: 2 minutesDiciamocelo, non è insolito che chi gradisce il fantasy finisca prima o poi per cimentarsi con quel meraviglioso passatempo che porta il nome GDR (gioco di ruolo), soprattutto se parliamo nello specifico di Dungeons and Dragons, con le sue ambientazioni medievaleggianti traboccanti di nani, goblin e creature ributtanti come gli elfi.
(scusate, non posso farci nulla, “ELFI BOIA, SOLO NOIA”.)
Sono fieramente reduce dalla mia prima giocata di prova come master e devo dire, in tutta onestà, che è andata bene. Sono un po’ orgogliosa di com’è andata, penso proprio che mi toccherà auto-ricompensarmi per la bella ruolata.
Ma il punto poi qual è?
Negli ultimi giorni ho ripreso a leggere La colonna di Antanacara – Avvento di Ronnie Pizzo e Nicolò Parolini, edito da Gainsworth Publishing. E che ho da dire, dopo l’introduzione impostata su D&D?
Ho da dire che sto leggendo un romanzo che mi pare un’ottima ruolata; i personaggi si comportano in maniera perfettamente aderente alla loro razza e alla loro classe, l’allineamento della nana guerriera Lyda è un lampante “caotico buono”, il chierico Akim porta con sé un simbolo della sua divinità e un bastone in luogo di un’arma da taglio, che i chierici non possono usare. Ci sono altri elementi che mi fanno pensare che gli autori siano esperti giocatori di D&D, tra i quali l’allegra tracotanza dei combattimenti e nei botta e risposta tra i personaggi. E dico giocatori “esperti” perché se così non fosse i dialoghi languirebbero, le azioni risulterebbero forzate e i collegamenti tra i vari avvenimenti apparirebbero labili come ragnatele spezzate.
La mia è ben lungi dall’essere una critica. Anzi. Tutt’altro.
Giocare di ruolo vuol dire entrare nella testa del personaggio, imparare a conoscerlo e a muoverlo coerentemente col suo vissuto e con la sua caratterizzazione. Chi gioca sa che non è facile, e che non sempre si è in grado di operare la corretta distinzione tra il modo in cui agiremmo noi e quello in cui agirebbe il personaggio. Giocare vuol dire anche imparare a muovere una situazione, a renderla divertente, sfruttarla a proprio vantaggio senza renderla ridicola. Sono abilità che si masterano con impegno e costanza, e trovandomi davanti a un esempio di narrazione così efficace, non posso fare a meno di segnalarle, sottolinearle e, diamine, consigliarle.
Che tralasciando l’intrinseco e innegabile divertimento, i GDR possono rivelarsi davvero utili per la scrittura. Vorrei averlo scoperto prima, accidenti.