Scribacchiolando – "Attenti al plagio!"3 min read
Reading Time: 3 minutesOrbene, al plagio!
Non so bene come iniziare a chiacchierare di questo argomento, pur così semplice a spiegarsi. Con quello che si intende comunemente per plagio?
Dal disprezzo che fin dalle elementari si nutre verso chi riprende qualcosa da un altro per farlo proprio?
O da quello che penso io del cosiddetto plagio, e di un termine che temo si sia allargato troppo, arrivando a comprendere quelli che, secondo me, sono normali influenze letterarie e culturali?
Ecco, sì, partiamo da lì.
Riconosco come plagio la ripresa non adeguatamente segnalata, adattata e fatta propria di un produzione altrui che non è ancora entrata a far parte del nostro sub-strato culturale.
Non costituirebbe un plagio, secondo me, la riscrittura dell’Odissea in chiave più moderna, con eventuale indagine psicologica dei personaggi e delle loro azioni. Non chiamerei plagio neanche una scuola di magia, o un circo maledetto, o i cari vecchi zombie così come li ha pensati Romero, la cui versione ha soppiantato tutte le altre. Non chiamo plagio – e potrei perfino trovarmi in minoranza – nemmeno Hunger Games, in cui Suzanne Collins riprende il concetto di ragazzi costretti a uccidersi tra loro centrale in Battle Royale.
Non lo chiamo plagio perché la questione di “gente chiusa in un’arena e costretta a massacrarsi” non è poi così estranea al nostro bagaglio culturale, ed è stata più che sviscerata, adattata e ampliata, diventando perfino marginale nel corso della serie. Non nego l’influenza, certo, ma neanche nego l’influenza di Stoker sulle Cronache dei vampiri di Anne Rice, o di qualsiasi romanzo fantasy classico scritto post-Tolkien.
In sostanza credo sia normale subire l’influenza di certi elementi narrativi, ma non si tratta soltanto di questo. Il fantasma del plagio Involontario sbeffeggia dall’alto della tastiera chiunque intenda scrivere qualcosa, perché dopotutto siamo tutti immersi nello stesso bagaglio culturale.
Non esiste una storia che si possa dire totalmente originale, perché le storie che scriviamo sono l’insieme delle storie che abbiamo letto e amato, che ci sono entrate in testa e che abbiamo incanalato in nuova linfa narrativa. Come se attraverso un lungo processo di purificazione avessimo spurgato quelle idee dalla presenza dei loro creatori primigeni e le avessimo rese nostre, anche se a volte è inevitabile che qualcosa della vecchia versione rimanga attaccato a quella nuova.
Con questo non voglio dire che il plagio non esista, volontario o involontario. A volte ci salta in testa un’idea così perfetta e meravigliosa che ci illudiamo di averla pensata noi, quando invece abbiamo solo dimenticato dove e quando l’abbiamo presa. E quando è ovvio che abbiamo preso qualcosa da un altro creatore senza modificarla attraverso il suddetto processo di purificazione e spurgo… ecco, quello è un po’ Il Male.
Ma non è neanche il caso di dannarsi l’anima perché ‘‘Oh, no, il mio x è troppo simile all’y di un altro, devo riscrivere tutto daccapo!’‘. A un certo punto bisogna arrendersi all’evidenza di un’influenza narrativa e culturale troppo simile e continuare a scrivere quello che si stava scrivendo. Sennò arriveremo al punto che giammai più vampiri dopo Stoker, elfi dopo Tolkien, scuole di magia dopo Harry Potter, storie d’amore tormentate dopo Cime Tempestose, indagini dopo Agatha Christie, draghi dopo i dinosauri.
(Che poi diciamocelo, se certi elementi non ha mai voluto usarli nessuno in narrativa, magari un perché ci sarà.)