Scribacchiolando, il sesso dei personaggi2 min read
Reading Time: 2 minutesCome dimostra l’esistenza stessa di Penne Matte, non è insolito che un avido lettore finisca per darsi alla scrittura, e io non sono da meno. E quella dell’aspirante scrittore – o quantomeno della persona che si siede innanzi al pc con gli occhi fissi sulla pagina bianca dello schermo fino a lacrimare – è una prospettiva più tecnica, quasi da addetto ai lavori. Quando leggo, finisco inevitabilmente per darmi a considerazioni da critico che rischiano di allontanarmi da quello che sto leggendo; in teoria dovrebbe capitarmi soltanto quando incontro errori e storpiature, ma pure quando un libro è bello, di fronte a passaggi ben scritti o a trovate brillanti, mi trovo a uscire dalla modalità lettura per congratularmi con l’autore per la bella pensata.
Diamine, il fastidio.
E dunque, qualche tempo fa avevo iniziato una rubrica sul mio blog, intitolata Scribacchiolando, ove elencavo di tanto in tanto riflessioni sulla scrittura, soprattutto sugli errori in cui incorro quando mi metto a scribacchiare.
E perché non trasportarla qui?
È vero che si tende a scrivere di personaggi che condividono con noi genere e identità sessuale. Non si tratta di una regola fissa, e se anche la fosse, sarebbe una di quelle con un’altissima percentuale di eccezioni. Eppure capita spesso di sentire uno scrittore lamentare la propria incapacità di entrare nella mente di una donna, per poter scrivere con cognizione di causa del suo punto di vista femminile, e viceversa. Anch’io, occhieggiando agli infiniti incipit nella mia cartella “Storie”, incontro una schiacciante preponderanza di protagonisti donne.
Non intendo forzarmi di cambiare la mia personale tendenza, è una cosa che mi viene automatica e istintiva e, almeno per quanto mi riguarda, posso dire che non dipende da un’incapacità di capire l’altro lato dello spettro del genere.
E tuttavia non sono pochi gli autori che, a proprio dire, non riescono a entrare nella testa di un personaggio del sesso opposto. È vero che uomini e donne vivono anche esperienze totalmente diverse, soprattutto negli anni dell’adolescenza; ci sono cose gli uni degli altri che difficilmente potremo comprendere senza che prima qualcuno ce le spieghi.
Ma ecco, non vale lo stesso per tutte le esperienze che non facciamo, ma di cui scriviamo? Non mi è mai capitato di rimanere chiusa in biblioteca per via di un’invasione di zombie, eppure qualcosa sul tema ho scribacchiato. Scrivere è pure immaginare, mettersi nei panni di qualcuno che non siamo noi, davvero il genere è una differenza tanto insormontabile? Voglio dire, più insormontabile della PTSD? Più insormontabile di un lutto, di una sparatoria, di un trauma infantile?
Come dicevo prima, è vero che ci sono esperienze che non condividiamo. Ma a questo punto basta chiedere. E poi capire, e analizzare, e riprodurre.
Una chiacchierata può valere come ricerca.