Ringo: Chiamata alle armi di Roberto Recchioni – recensione4 min read
Reading Time: 4 minutesarticolo di Lorenzo Fantoni per Wired.it
Un uomo in fuga con un passato fatto di atti orribili da dimenticare, un mondo allo sbando in cui vale la legge del più cattivo, in cui essere gentili è come essere morti e in cui l’unica giustizia possibile è quella che ti fai da solo. Questi gli ingredienti di Ringo: Chiamata alle armi (Edizioni Multiplayer), romanzo d’avventura tra il western e il postapocalittico che prende alcuni elementi di Orfani, l’ultima serie Bonelli creata da Roberto Recchioni e Emiliano Mammucari che racconta le drammatiche vicende di un gruppo di supersoldati. Il libro, scritto da Recchioni e con alcune pagine illustrate da Mammucari, si svolge tra la prima e la seconda stagione del fumetto e pur facendo riferimento ad eventi del passato e assolutamente godibile anche senza alcuna conoscenza pregressa.
Ringo è infatti un ex membro degli Orfani, è fortissimo, ha riflessi sovrumani, un’ottima mira e incredibili doti tattiche, ma anche un temperamento impetuoso, un orribile passato da dimenticare e una scarsa capacità di sopportare i soprusi, proprio come i pistoleri del vecchio West.
Curiosità interessante, il libro, così come tutto Orfani, si svolge nello stesso universo narrativo di YA, precedente romanzo low-fantasy di Recchioni.
Con Ringo ci troviamo di fronte un prodotto di intrattenimento puro e assolutamente godibile per cui vale il grande adagio della cultura pop: più ne sai, più ti diverti. Il lettore meno smaliziato potrà semplicemente godersi una storia piena di azione, colpi di scena, inseguimenti e redenzione, al massimo avrà voglia di scoprire di più sul personaggio. Chi invece mastica il mainstream con maggiore sicurezza coglierà tutto il background culturale dell’autore e del fumetto di riferimento, i riferimenti a Shane Black, Ombre Rosse, Le colline hanno gli occhi in quello che è un prodotto di escapismo puro in cui Ringo è una sorta di deus ex machina alto quasi due metri che prima o poi la spunta sempre.
Ma visto che gli anni ’80 soni finiti, non siamo di fronte al classico eroe tutto d’un pezzo privo di ombre, le sue azioni hanno sempre delle ricadute sulle persone che lo circondano e che mettono continuamente in discussione il suo agire. È un classico topos che troviamo nella narrativa western: quando il buono spezza un braccio al cattivo di turno che ha maltrattato un innocente sa quello potrebbe tornare con venti amici per distruggere tutto il villaggio. Nessuna buona azione resta impunita.
Chiamata alle armi rappresenta anche un ottimo esempio di strategia che in Italia ancora non siamo molto bravi a mettere in atto: crossmedialità, la capacità di tenere viva l’attenzione verso una proprietà intellettuale attraverso vari media. Il mondo di Orfani nasce come fumetto, ma è apparso anche in TV, lo vediamo adesso nei libri e chi vi scrive non vi nasconde che avrebbe tanta voglia di giocare al videogioco. Altri esempi italiani sono Smetto quando voglio, che si è fatto fumetto come Lo chiamavano Jeeg Robot, poi abbiamo Dylan Dog, ma poco altro.
Un altro aspetto interessante del libro è forse la totale consapevolezza con cui questo romanzo è stato concepito e che riprende in parte il motto degli Orfani: non facciamo arte, facciamo cadaveri. Non siamo di fronte a un autore che cerca nella letteratura una sorta di nobilitazione o un prodotto che punta a un pubblico differente, come spesso accade nelle opere che cambiano medium: Ringo è scritto da un autore che vive e respira cultura pop, di chi ha vissuto gli ultimi anni mangiando pane, videogiochi, fumetti e action movie, senza però considerarle opere minori, ma studiandole e analizzandole con interesse.
Una consapevolezza che si riflette in uno stile asciutto, ma ricco di riferimenti. Nella tensione che precede l’azione c’è una voglia che ricorda King di costruire una situazione apparentemente normale, concentrandosi su dettagli e storie laterali al protagonista, che ovviamente verranno poi sconvolte quando le armi di Ringo, due enormi pistole ispirate ai giocattoli della Nerf, inizieranno a cantare la loro sinfonia di piombo. Nonostante la sua indole e eroica e positiva, Ringo è un romanzo che proprio grazie a questi trucchi sa anche colpire duro, mostrandoci tutta la durezza di un mondo in cui non c’è spazio per la compassione.
È un prodotto che ha gli strumenti per farsi voler bene da tutti, ma che ha nel suo pubblico di riferimento non solo i lettori di Orfani, ma anche gli amanti di personaggi che sanno risolvere le situazioni più assurde, dei Jack Reacher, i Dirk Pitt o i Jason Bourne. Di chi sa che non esiste eroe senza una battuta sprezzante e che i cattivi, per quanto forti, prima o poi la pagano, sempre, mentre il nostro eroe si allontana, come il Cavaliere della valle solitaria, senza bisogno di essere ringraziato. Ovviamente aspettatevi un seguito.
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