Cave the Mark, la nuova saga dell’autrice di Divergent – recensione4 min read
Reading Time: 3 minutesLa letteratura Young Adult – per “giovani adulti”, vale a dire un pubblico perlopiù adolescente – è sempre interessante. Come tutta la letteratura, non è necessariamente perfetta, e non sempre i titoli di maggior successo sono quelli di maggior qualità, eppure hanno un pregio indiscutibile: svelare qualcosa del mondo e del sentire degli adolescenti.
La serie di Divergent – della giovane autrice Veronica Roth, che all’uscita del primo libro aveva 21 anni -, per esempio, dava voce al bisogno di ribellione dagli stereotipi e dalle imposizioni date dalla società adulta. La trilogia (che ha dato vita anche a una serie di film con Shailene Woodley nel ruolo della protagonista), raccontava di un mondo in cui ai ragazzi di sedici anni viene imposto un test attitudinale che decide, in modo irrevocabile, quale ruolo assumeranno nella società; unica eccezione sono i così detti divergenti, che risultano adatti a più ruoli e per questo vengono cacciati dal governo che vuole mantenere l’ordine prestabilito.
I libri di Divergent sono stati un successo internazionale (si stimano circa 200 milioni di copie) e Veronica Roth sembra aver adottato il tema della predestinazione come punto focale della sua scrittura. È da poco uscito in contemporanea in 33 lingue il primo capitolo della sua nuova serie in due libri, dal titolo Carve the Mark – i Predestinati, e le premesse sono affini a quelle di Divergent. Anche se, in questo caso, siamo davanti a una vera e propria space opera.
In una galassia dove i vari pianeti sono in comunicazione tra loro, ma conservano ciascuno una cultura incomprensibile e talvolta inconciliabile a quella degli altri, ogni individuo nasce con un dono, un potere unico che lo contraddistingue da tutti gli altri. Solo alcuni di questi individui, però, hanno anche un Fato, cioè è scritto nel destino che le loro azioni contribuiranno in qualche modo a cambiare le sorti dell’universo. Uno spunto tutto sommato ovvio, se non fosse che per i due protagonisti il loro dono è un terribile fardello.
Cyra, sorella del brutale tiranno del popolo Shotet, appartiene a una razza guerriera e il suo potere di causare un dolore insopportabile nel prossimo soltanto col pensiero viene impiegato a scopo di crudeli torture. Akos invece è il figlio timido e generoso di una famiglia contadina del tranquillo popolo di Thuvhe, ma a causa del fato della sua famiglia viene rapito dai shotet senza sapere perché. L’incontro tra i due ragazzi, ciascuno tormentato dalle aspettative altrui, permette loro di vedersi finalmente dall’esterno, e di capire che forse sono destinati a qualcos’altro rispetto a ciò che tutti credono.
Non c’è niente di scritto, tutto dipende da te. Gli adulti non possono dirti chi sei, solo tu puoi scoprirlo. È questo l’evidente messaggio che il libro cerca di dare, pur mettendo i suoi protagonisti in situazioni decisamente più dure e drammatiche di quelle che caratterizzavano invece la saga di Divergent. Interessante, in questo senso, è la scelta di ribaltare lo stereotipo di genere mettendo il protagonista maschile in un ruolo di accudimento e protezione, mentre quello femminile in uno più d’azione (come d’altra parte accadeva già nella serie di Huger Games).
Centrale è anche lo scontro tra culture, in cui il diverso può rivelarsi spaventoso, ma anche prezioso, perché permette di scoprire qualcosa di sé che altrimenti sarebbe rimasto celato. Curiosamente, però, il libro è anche stato accusato di razzismo interiorizzato, in quanto – guarda caso – tutti i personaggi di colore vengono descritti come violenti e crudeli. L’autrice non se n’è accorta, o forse sta preparando delle carte che verranno ribaltate nel prossimo capitolo? Al momento è impossibile dirlo, anche se dato il piccolo caos tra i lettori scatenato da questa critica, è facile immaginare che potrebbero esserci delle modifiche in corso d’opera.
Comunque, dal successo che Carve the Mark sta già ottenendo presso il suo target, è evidente una cosa: gli adolescenti si sentono schiacciati, etichettati, costretti a essere qualcosa che non sono. E come potrebbe essere altrimenti, in un mondo – quello reale – che sembra determinato a farli sentire stupidi, superficiali e inconcludenti? C’è, nei libri di Veronica Roth, lo sfogo di un bisogno puramente giovanile: quello di cercare e affermare se stessi, a prescindere dal giudizio degli altri. Forse agli adulti potrà sembrare scontato, ma non lo è.
Se lo scopo della letteratura è quello di porre domande, forse quello della letteratura per ragazzi è proprio di porre la più fondamentale di tutte: “Chi sono io?“.
articolo di Eleonora Caruso per Wired.it
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