L’importanza dei gesti nel romanzo3 min read
Reading Time: 3 minutesPer gesti nel romanzo s’intendono minimi movimenti con cui il corpo di un personaggio parla al lettore, dice ciò che le parole non possono esprimere.
Forse è proprio nei gesti che si riconosce una scrittura di qualità da una seriale, la prosa di un romanzo personale, in cui l’autore mette in campo se stesso, da una di un lavoro artigianale (“artigianale” inteso col massimo rispetto, intendiamoci) e pianificato.

Un autore la cui gestualità è tutt’altro che scontata è Raymond Carver, considerato il padre del minimalismo americano. Carver è come la ghiera di una fotografia che ruota fino a quando l’immagine non è perfettamente a fuoco e pronta per essere catturata in uno scatto. Nei suoi romanzi un gesto, una battuta apparentemente ininfluente, possono aprire interi universi. Ad esempio nel racconto Grasso (lo trovare nella raccolta Vuoi star zitta per favore?), c’è un personaggio che viene descritto dalla voce narrante che appartiene alla cameriera di un locale, la quale ritorna più volte, mentre serve i tavoli o al banco, sul fatto fatto che lo vede sbuffare. Questa precisazione caratterizza il cliente in modo assai particolare, ma soprattutto caratterizza la cameriera. Aggiornandoci sul suo spirito di osservazione concentrato su dettagli come lo sbuffare di un cliente o il fatto che abbia dita che “sembravano tre volte più grandi delle dita di una persona normale“, l’autore avvalora il punto di vista della cameriera, lo rende personale, degno della nostra attenzione. Tutti i racconti di Carver sono istantanee che rivelano un quotidiano tutt’altro che scontato.
Prendiamo Salinger: nel racconto Un giorno ideale per i pesci banana (forse il migliore della raccolta Nove racconti), ci sono una serie di gesti che racchiudono i personaggi meglio di quanto possa fare un intero capoverso dedicato alla loro biografia.
Il racconto si apre con una giovane sposa in una camera d’albergo impegnata a passarsi lo smalto sulle unghie dei piedi mentre parla al telefono con la madre, preoccupata perché il marito della figlia è, secondo lei, un individuo instabile e pericoloso. Nel corso della conversazione telefonica, l’autore, di tanto in tanto, tornerà sulla cura e l’espressione concentrata con cui la ragazza ripassa le unghie mentre dall’altra parte la madre è in ansia per la sua sicurezza. Anche in questo caso, un minimo gesto racconta più di una vicenda. Delinea un personaggio dalla psicologia quasi opposta al marito, sensibile e traumatizzato dalla guerra.

Nel definire il gesto in letteratura, Francine Prose, autrice americana pluritradotta di romanzi e del saggio Leggere da scrittore, spiega che per lei esso “include piccole azioni fisiche, spesso inconsce o semiriflesse, compreso il cosiddetto ‘linguaggio del corpo’, ed esclude invece azioni più ampie, definite e determinanti”.
Sulla base di questo assunto, un gesto privo di originalità è immediatamente riconoscibile e diventa quasi una cifra stilistica al contrario, un marchio di conformità letteraria. Se siete lettori assidui ne avrete incontrati parecchi. Tutte quelle espressioni come “lei ammiccò”, “strinse i pugni fino a farsi male”, “il cuore le batté forte”, si ritrovano a ripetizione nei bestseller. Sanno di frasi prese a prestito da un rivenditore di stati d’animo seriali, per chiarire in fretta e approssimativamente cosa sta succedendo.
C’è poi una casistica di gesti che gli autori fanno compiere ai loro personaggi, apparentemente con il solo scopo di tenerli in movimento, come bere o accendersi una sigaretta. In realtà, un autore che abbia il pieno controllo sulla sua prosa e suoi suoi personaggi, non dovrebbe mai farli bere a caso o fargli accendere una sigaretta senza un motivo specifico. Nemmeno tirare una boccata e soffiare il fumo che veleggia verso l’alto, dovrebbe essere un gesto espresso senza una ragione specifica.
Perché il semplice osservare il fumo di una boccata che si dissolve nell’aria, potrebbe costituire un’ottima occasione per rivelare chi è davvero il nostro personaggio.