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Leonardo Patrignani: "La fantascienza, oggi, deve ibridarsi con altri generi"7 min read

7 Settembre 2016 6 min read

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Leonardo Patrignani: "La fantascienza, oggi, deve ibridarsi con altri generi"7 min read

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Noi Umani
Leonardo Patrignani
è uno degli autori YA che va per la maggiore, in Italia. Ha scritto una trilogia sugli universi paralleli, Multiversum, apprezzata anche all’estero dove affronta la teoria dei mondi paralleli combinandola con la storia d’amore tra due adolescenti, poi There, thriller paranormale sulle esperienze di pre-morte. Autore di fama internazionale, scrive anche per Wired.it come editorialista.
Per Penne Matte è giurato nel concorso #noiumani.
Dopo aver chiacchierato con Emanuela Valentini, parliamo anche con lui di scrittura e fantascienza.

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Prima domanda: credi nel Multiverso?
A livello infinitesimale, se parliamo di particelle della dimensione di un fotone che non rispondono alle leggi della fisica classica, ma della meccanica quantistica, direi che è più facile crederci che non crederci. Certo, se si parla di esseri umani, su una macro-scala, le leggi sono differenti. Ma in fondo, “la nostra mente è la chiave”, no? Per questo, nella mia trilogia siamo in un Multiverso “mentale”. E in quello credo eccome! Ci sguazzo di continuo, anzi, con una certa goduria.
Seconda domanda: credi nella vita dopo la morte?
Credo al cosmo in cui ci troviamo. Lo vedo. Esiste da un tempo che non riusciamo neanche a immaginare, risponde a leggi che non tutti sono in grado di capire e offre costantemente esempi di morte e rinascita. Noi ne facciamo parte. Ne facevamo parte prima del nostro concepimento, ne faremo parte dopo. Muterà la forma, ma gli elementi che ci compongono non scompariranno dall’oggi al domani. La morte è solo un momento di transito verso una diversa dimensione dell’esistenza, anche se è evidente a tutti quanto siamo legati alla visione materiale delle cose (ed è giusto così, è la nostra componente umana).
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Secondo te, la fede è una componente fondamentale quando si scrive un romanzo? Riformulo la domanda in altri termini: se scrivi un romanzo sugli alieni, ti riesce meglio se credi nella loro esistenza?
Molto interessante, come quesito. Devo ammettere che in prima istanza risponderei “certo!”. Un po’ come lo scienziato che, conoscendo l’effetto desiderato di un farmaco da sperimentare, tenda ad analizzare i risultati del gruppo di ricerca secondo la sua corrotta visione (influenzata dall’aspettativa). A pensarci bene però, nella stesura di There ho incontrato tematiche molto interessanti, che non conoscevo e che ho studiato con un approccio del tutto scettico, per cercare di “farmi convincere” dai saggi sui quali approfondivo (missione peraltro riuscita). Quindi, chissà… forse siamo più credibili, come autori, se ci facciamo influenzare il meno possibile dalle tematiche trattate. Ma ti prometto che ci penserò meglio. Fammi la stessa domanda tra un anno.
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Le tue storie spesso esplorano l’altrove: in There le esperienze di pre-morte, in Multiversum i mondi paralleli. Ti sei mai chiesto come mai?
Sì, me lo chiedo spesso. Penso di soffrire di una patologia particolare, una sorta di dipendenza dall’esplorazione dell’insondabile. E non credo di essere il solo, per carità… anzi, penso che la maggior parte degli autori (e in particolare quelli di fantascienza) siano affetti dalla stessa sindrome. Ci curiamo vivendo costantemente in altri luoghi, con la mente. Povero il nostro partner, che magari ci sta parlando della spesa o di una bolletta da pagare!
Emanuela Valentini mi ha detto che la fantascienza soffre ancora un certo maschilismo, almeno qui in Italia, sei d’accordo?
Emanuela fa di sicuro riferimento a una cerchia della quale – lo dico con tutto il rispetto possibile per gli autori che si sentono parte di essa – non ho alcun interesse. Non vedo la scrittura come un movimento, anzi temo che per sua natura l’autore di romanzi debba viaggiare in solitaria. Far parte di “cricche” non fa altro che generare alleanze, dissidi, malumori… peraltro noto che la cosa origina lunghe e frequenti discussioni (anche pacifiche, sia chiaro) online, facendo perdere a mio modo di vedere un sacco di tempo a chi vi partecipa. Tempo che sarebbe bene dedicare alla coltivazione della propria arte, o anche solo alla lettura.
In che modo l’utilizzo delle nuove tecnologie ha cambiato l’approccio degli autori contemporanei alla fantascienza?
Ci ho pensato proprio quest’estate, leggendo Ubik di Philip K. Dick. Oggi siamo notevolmente avvantaggiati, specialmente in fatto di documentazione. Non oso immaginare un Patrignani di cento anni fa, alle prese con gigantesche enciclopedie. Sarebbe stato certamente interessante ma senz’altro faticoso, con un dispendio notevole di tempo. Oggi, nell’epoca in cui tutto si brucia in un attimo, benediciamo la possibilità di fare ricerche approfondite in diversi campi grazie all’uso, talvolta, di un semplice telefono. Chiaro, questo comporta altri tipi di problemi, legati alla selezione delle fonti, ma si auspica che un autore sia in grado di discernere tra bufale e documenti attendibili.
Secondo te, la fantascienza si diverte a immaginare come sarà il futuro, come faceva nei tempi passati, o nella società globalizzata che viaggia in tempo reale, il futuro è adesso?
Visto il punto del progresso a cui siamo arrivati, la fantascienza non può che occuparsi sia del futuro che del presente alternativo, possibile, ovvero delle aberrazioni generate dalle tecnologie di cui già disponiamo, o di cui disporremo in breve tempo. Penso per esempio alla serie Black Mirror. A livello editoriale, invece, dunque scendendo al piano narrativo della questione, sono sempre più convinto che la migliore forma di fantascienza possibile, oggi, debba prevedere una commistione con altri generi. Un ibrido che renda il romanzo un’avventura per tutti, non solo per i consumatori di Urania. In questo modo si possono avvicinare anche le nuove generazioni a questo tipo di storie, e alla lettura in generale (riscontro spesso questa fortunata coincidenza nelle scuole, con grande piacere). Ben venga chi riscopre Huxley e Orwell grazie a Hunger Games, dunque, o chi legge Solaris dopo aver visto Interstellar di Nolan.
Ti nomino quattro topic classici della fantascienza, scegline uno e spiega perché: alieni, viaggio nel tempo, robot, apocalisse.
Alieni. Perché è un tema che sogno di trattare da molto tempo, ma per la paura di risultare banale lo tengo in stand-by. Mi ci dedicherò non appena avrò una vera idea innovativa su un argomento che è stato sviscerato in tutti i modi possibili.
Tu sei un autore che frequenta la rete ma è pubblicato da una grande casa editrice. Secondo te, la rete è un’anticamera per l’editoria tradizionale o un’alternativa alla stessa altrettanto valida?
La rete è una giungla. Offre sentieri sicuri e percorsi assolutamente da evitare, o rischiosi, sconsigliati. Se ne fai buon uso, può aiutarti. Se ne fai cattivo uso, può metterti in cattiva luce presso eventuali professionisti che si imbattano nel tuo profilo. Purtroppo in questi anni ho visto (molti) più esempi di un uso poco scaltro e molto dilettantesco della comunicazione, da parte di esordienti che evidentemente non hanno una visione globale dell’editoria e spesso cadono nell’errore di ridurre tutto alla propria esperienza personale. Siamo all’interno di un mercato, ci vogliono il rispetto dei ruoli della filiera e un comportamento educato e serio. La professionalità fa sempre la differenza. Queste parole suoneranno come una “lezioncina” che, effettivamente, a volte mi viene da dare. Ma ritengo cruciale questo punto. In passato, in ambito musicale, ho già visto le stesse situazioni con le medesime dinamiche. E coloro i quali non sapevano sfruttare il mezzo a disposizione, e si vendevano malissimo al mondo, oggi sono ancora lì a registrare demo di scadente qualità. Gli altri, quelli che hanno lavorato bene, pubblicano dischi e girano il mondo.
Anche a te come a Emanuela chiedo la ricetta perfetta per un perfetto racconto di fantascienza.
Per un racconto? Leggersi un paio di raccolte di Fredric Brown e poi pensare: “Bene, ora devo scrivere qualcosa che sia sorprendente almeno un decimo di questo”.
Progetti per il futuro?
Sto lavorando su un nuovo concept, che mi sta costando una mole di documentazione spaventosa in ambiti scientifici di una certa complessità (mannaggia a me!). Il romanzo sarà pronto per la fine di quest’anno e uscirà nel 2017, ma non mi è permesso svelare ulteriori dettagli. Posso solo dirti che, dopo la parentesi drammatico-psicologica e “intima” di There, si tornerà su scenari vasti e tematiche di grande impatto. Su altri versanti, mi sto occupando dello sviluppo di alcune idee per la tv e per il cinema. Traversate lunghe, molto stimolanti e con persone davvero valide a bordo, e dunque progetti su cui si investe del proprio, non sempre certi della realizzazione. Sai com’è, il magico mondo della creatività: poggi il piede sulle prime pietre, sicuro di te, del fatto che arriverai dall’altra parte, e poi…

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