Writers Deathmatch: Dino Buzzati vs Tommaso Landolfi3 min read
Reading Time: 3 minutes
Buzzati Landolfi. Due autori del Novecento italiano. Due classici che, da prospettive diverse, (potremmo azzardare “opposte”) hanno affrontato il tema del fantastico. Una frase di Dino Buzzati è diventata celebre, una dichiarazione d’intenti circa la sua prosa: “raccontare senza rompere l’anima al lettore”. I suoi racconti e romanzi sono caratterizzati da una prosa accessibile, immediata. Soprattutto nei racconti, si assiste a un registro linguistico semplice e morale quasi da fiaba per l’infanzia.
Tommaso Landolfi, come disse Carlo Bo, al pari di Gabriele D’Annunzio aveva il dono di giocare con la lingua italiana. La sua prosa è gravida di arcaismi, espressioni dialettali, giochi di parole. Ma vediamo di mettere a confronto questi due – è proprio il caso di dirlo – peso massimi del fantastico italiano, per decretare chi vince e se ai punti o per ko.

STILE
Quello di Buzzati è limpido, accessibile sia ai lettori smaliziati che a quelli meno costanti. L’autore sembra aver portato la lezione del giornalismo (era redattore presso il Corriere della sera) in letteratura: atteniamoci ai fatti, per quanto bizzarri essi siano. Anche in un romanzo di psicologia amorosa come Un amore dove si racconta l’ossessione di un ricco borghese per una prostituta, non si cade in eccessive digressioni. Ovvio, questo stile è ideale soprattutto nei racconti. Le pagine di Landolfi sembrano provenire dall’Ottocento. Se in Buzzati sono bizzarri i personaggi, come le ambientazioni, in Landolfi lo è prima di tutto la lingua. Ma se il registro stilistico di Buzzati tiene sempre, quello Landolfi, a mio parere, a volte eccede nello sperimentalismo come avviene ne Le due zittelle.
BUZZATI VINCE
PERSONAGGI
I personaggi di Buzzati mancano di un nucleo originario ed emotivo che li distingua gli uni dagli altri. Sono personaggi che “si costruiscono” attraverso le azioni che compiono o gli eventi che subiscono. Anche per questo i suoi racconti sembrano quasi delle parabole morali dove si compiono dei destini. In Landolfi i personaggi hanno più spessore, anche se per lo più, l’assurdità delle situazioni, li degrada a delle caricature. Io stabilirei un sostanziale
PAREGGIO

AMBIENTAZIONI
Qui, credo che Landolfi abbia la meglio. È vero che nel Deserto dei tartari di Buzzati l’ambientazione è fondamentale. La Fortezza Bastiani è una caserma dove il tempo pare essersi fermato. Ma anche qui è la ripetizione dei gesti, la scansione dei giorni uguali, a suggerire un senso di spleen più che la descrizione degli spazi. In Landolfi le ambientazioni sono un elemento chiave come In racconto d’autunno dove un militare, scappando attraverso un bosco, si ritrova in un casolare fatiscente e abbandonato. Per me non c’è partita.
LANDOLFI VINCE
POETICA
Entrambi gli autori descrivono l’assurdità del vivere, ma se Landolfi si lascia andare alla deriva di suggestioni linguistiche, Buzzati qui riesce a essere più preciso e termina il discorso: la vita è assurda dinanzi alla prospettiva della morte. Non rimane che viverla o raccontarla. I messaggi di Landolfi filtrano più a fatica attraverso il decadentismo linguistico.
BUZZATI VINCE
Ai punti vince Buzzati. Landolfi è più originale, ma meno riuscito. Possiamo parlare di lui come di un “grande mancato”. Ha giocato con la letteratura, ma alle volte si ha la sensazione che si sia limitato a un divertissement privato, senza mettersi in gioco al 100%. Poteva essere il nostro Bulgakov, non lo è stato. Buzzati è più elementare, sconta la pesante eredità di Kafka che spesso gli hanno rinfacciato, ma è un autore decisamente compiuto.