Il bazar dei brutti sogni, di Stephen King – recensione4 min read
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Il Bazar dei brutti sogni
di Stephen King
Genere: Gialli e thriller
Casa editrice: Sperling & Kupfer
Prezzo: € 19,90 cartaceo
Questo libro è una raccolta di venti racconti del re del brivido. Come scrive Loredana Lipperini nel risvolto di copertina, sono “venti storie che toccano tutta la gamma delle emozioni, come King sa fare”.
Non entro nel merito dei singoli racconti, perché non voglio fare spoiler, cercherò quindi di tenermi sul generico.
Alcuni sono squarci su vite che potrebbero essere reali, come la gara di fuochi d’artificio, tra locali e “mangiaspaghetti”, che cresce in spettacolarità e tifo di anno in anno; o la coppia che accetta un incarico di dubbia moralità per poter saldare i propri debiti, perché “in determinate circostanze, chiunque venderebbe qualsiasi cosa. Per poi vivere rimpiangendo di averlo fatto.” Non è forse vero? Non sono situazioni che abbiamo vissuto o di cui siamo stati testimoni, più o meno diretti?
E poi ci sono i racconti con un pizzico di magia, soprannaturali, da brivido, alcuni autentiche perle. Penso al romanzo sul Kindle rosa, in cui il lettore non può che invidiare il protagonista che ha la possibilità di leggere opere dei suoi autori preferiti in altre dimensioni. O “Miglio 81”, un classico del genere per il nostro autore, con una variazione sul tema di macchine viventi, imprese di ragazzini e altri suoi classici.
Sono dei dipinti vivaci, realistici, anche quando parla di realtà parallele. È come se quella cosa potesse succedere veramente anche a te, lettore, che ti senti co-protagonista; e del resto questa è una delle caratteristiche di King, di tutti i suoi scritti.
Si ritrovano in questo libro temi cari all’autore, che sono stati il fulcro di altri suoi romanzi, come macchine infernali, scrittori che non riescono a scrivere, o altri argomenti che per sua stessa ammissione non ha trattato altrove, come il baseball.
Del resto King ci confida, proprio all’inizio, “finché uno scrittore non muore o si ritira dalle scene, le sue storie non sono mai compiute e richiedono sempre ulteriori ritocchi o revisioni”, ed è quindi comprensibile che riveda in chiave diversa argomenti e soggetti con cui ci ha intrattenuto per centinaia di pagine. E sarà che a me King piace molto, ma non mi infastidisce per nulla, anzi, mi piace che sappia raccontare in un modo nuovo una storia vecchia.
L’autore diverse volte tocca temi delicati, quali la morte, l’invecchiamento, un matrimonio che non funziona più, ma che si continua a tenere in vita, la fatica di vivere, il suicidio e altri ancora. E lo fa alla sua maniera. Un po’ con leggerezza, senza prendersi sul serio, abbandonando la pretesa di volerci insegnare qualche cosa. Eppure all’improvviso, senza che tu lettore te ne accorga o te lo aspetti, ti infila una frase che ti fa riflettere, un passaggio su cui ti soffermi: “Wesley pensò, e non per la prima volta, che la vera nemesi dello spirito umano fosse la curiosità, non l’ira”.
King ci regala anche due poesie: non sono un’esperta del genere, non le amo, di solito, devo ammettere, tendono ad annoiarmi. Semplicemente non le capisco, così come non ho capito queste due di King. Mi spiego meglio: al di là della storia, una molto Kinghiana (si dice?), l’altra secondo me meno, non vi ho ritrovato musicalità o dolcezza o fluidità, caratteristiche che nella mia mente sono associate al concetto di poesia. Ma questo, come ho appena ammesso, probabilmente è un mio limite, poiché il genere mi è molto lontano e non credo che basti scrivere in versi, frasi brevi o ritornelli per definire uno scritto poesia.
Prima di passare alle conclusioni vorrei nominare e ringraziare i traduttori: Giovanni Arduino, Chiara Brovelli, Alfredo Colitto e Christian Pastore, ché se un libro riesce a catturare il lettore, a entrargli sotto pelle, a coinvolgerlo, a impedirgli di riporlo sul comodino, il merito è, ovviamente, dell’autore, ma tantissimo anche di chi ha permesso che la magia transitasse da una lingua all’altra, di chi ha saputo cogliere lo spirito e renderlo comprensibile e fruibile al lettore.
Conclusioni:
Anche se secondo me questa raccolta di racconti non è delle sue migliori, (ritengo che Quattro dopo mezzanotte con i suoi Langolieri resti inarrivabile anche per lui), leggere Stephen King è comunque sempre un piacere che vorrei non finisse mai. Di racconti paurosi non ce ne sono molti, non aspettarti di restare con il fiato sospeso tutto il tempo; il fatto è che King ci ha regalato autentici capolavori, e questo è un po’ diverso rispetto alla stragrande maggioranza della sua produzione. Lo stile è inconfondibile, fluido e accattivante, ma alcuni racconti sono veramente troppo brevi, per quel che mi riguarda: quando iniziavo a entrare nel vivo di una storia, questa finiva, mentre io avrei voluto leggerne ancora. E invece dovevo ricominciare da capo con un’altra.
Voglio concludere con una frase tratta dal racconto Ur, che mi è piaciuta molto, sia nel contesto, sia in generale:
“Non c’è nulla di male a gridare un bell’evviva a squarciagola. Anche quello è parte di ciò che sei. Entrambe le parti sono ugualmente importanti.”