Varrebbe la pena scrivere un romanzo sui Rich Kids of Instagram?2 min read
Reading Time: 3 minutesDa qualche anno, i portali di informazione, specie d’estate, pubblicano news sui Rich Kids of Instagram con tanto di gallery da 20, 30, 40 immagini. Chi sono i Rich Kids? Teenager privilegiati, figli di ricchissimi che pubblicano foto che sono uno schiaffo alla povertà. Li si vede a bordo della loro Lamborghini o della Ferrari o in compagnia di un ghepardo tenuto al guinzaglio con il collare tempestato di diamanti. Altra costante è lo sfoggio di orologi d’oro o di bottiglie di champagne che costano quanto lo stipendio di una vita di un impiegato, forse più.
Le foto dei Rich Kids rientrano in quel fenomeno generale che consiste nello spammare la propria ricchezza attraverso i social, in particolare Instagram. Questa estate, in Italia, abbiamo avuto il caso di Gianluca Vacchi, figlio (usiamo questa parola anche se ha 49 anni) di una famiglia di imprenditori che promuove la sua vita tutta tatuaggi, abiti griffati, piscine in villa e amici a colpi di post. Milioni di visualizzazioni su Instagram .
Ora, non ho nulla contro i Rich Kids of Instagram, né la pratica di sbattere in faccia al mondo la propria ricchezza. La si potrebbe anche prendere come una forma di auto ironia, di satira della dolce vita e dei suoi miti, veri e falsi. Ognuno è libero di fare quello che vuole, di esprimersi come vuole, nei limiti della legge. Però, una cosa mi sento di dirla: i Rich Kids of Instagram sono un fenomeno bidimensionale, inventato, senza ragion d’essere. Sono pura immagine.
Nel 1985, Breat Easton Ellis aveva pubblicato Meno di zero, romanzo che narrava il vuoto, più che morale umano, di una generazione di figli di ricchissimi viziati e senza punti di riferimento residenti a Los Angeles. Un vuoto che quei ragazzi cercavano di colmare compiendo azioni a tratti riprovevoli, annegando senza accorgersene nella stessa società edonista e materialista nella quale erano cresciuti. Era un romanzo tragico, raccontato con uno stile monocorde, anaffettivo.
Il vuoto, il male, è spessore, qualcosa che vale la pena narrare. È una terza dimensione che si spinge oltre la bidimensionalità di fotografare col cellulare il proprio benessere. Il materialismo disperato degli anni Ottanta era una malattia, qualcosa che c’era e che quindi doveva trasformarsi in romanzo. Ma qual è lo spessore, il vuoto o il senso di pienezza trasmessi dalla ricchezza dei Rich Kids of Instagram? Nessuno. Non c’è quasi narcisismo. È solo un automatismo da clic. Mi compro un Rolex, clic, lo posto su Instagram. Non c’è disagio. Forse non c’è nemmeno l’invidia di chi guarda le loro foto su Instagram. Non c’è nulla da mostrare, alla fine, quindi nulla da raccontare.
Buona “Vacchi Dance” a tutti.