"American Nightmares" intervista all’autore Paolo Zelati5 min read
Reading Time: 5 minutesPaolo Zelati è un giornalista e critico cinematografico, appassionatissimo di cinema horror. Ha collaborato con diverse riviste specializzate (tra le quali “Nocturno“). Solo qualche mese fa è stato tra i curatori del Lucca Film Festival , il cui ospite d’onore era nientemeno che George Romero, il papà dei film sugli zombi. Romero è anche un grande amico di Zelati, uno dei tanti registi e personaggi di spicco del new horror (quel periodo aureo del cinema horror americano che va dalla fine degli anni ’60 fino agli anni ’80) intervistati da Zelati e inseriti nel volume American Nightmares. Conversazioni con i maestri del new horror americano.
In questo libro gli appassionati del cinema horror, o del mondo dell’orrore in generale, potranno trovare 33 interviste ai più grandi personaggi che hanno segnato il new horror (dal regista John Landis, allo scrittore Clive Barker, per passare dal filmaker di Non Aprite quella Porta Tobe Hooper, fino all’autore epocale Richard Matheson).
American Nightmares è stato pubblicato nel 2013 dalle Edizioni Profondo Rosso. In questi giorni abbiamo approfittato del ritorno dagli Stati Uniti dell’autore Paolo Zelati per fare una chiacchierata con lui sul suo libro e sull’horror in generale.
Tanto per iniziare: cosa ti ha portato in giro per gli Stati Uniti a intervistare ben 33 personaggi che hanno segnato la storia del cinema horror americano?
“Direi la passione. Non sono una persona che passa le vacanze al mare, quindi ho unito il dovere ed il piacere facendo un viaggio in lungo ed in largo per gli Usa alla ricerca di grandi autori che alla fine sono diventati anche grandi amici. Non è stato un lavoro per me”.
Cosa ami del cinema horror americano?
“Amo il fatto che sono cresciuto con John Carpenter, George Romero e Tober Hooper. Attraverso loro ho poi scoperto il cinema horror italiano di Mario Bava e Dario Argento. Quel periodo compreso tra gli anni ’70 e ’80 in America rappresenta la golden age dell’horror, c’erano tante energie e cariche simboliche. Tutti questi elementi riflettevano cosa stava accadendo alla società americana del tempo. E poi c’era molta sperimentazione a livello visivo, basta vedere film come La Cosa o Un lupo mannaro americano a Londra“.
Da cosa nasce il new horror?
“Nasce da questioni sociali e storiche importanti: dal fallimento della Summer of Love, dagli hippies che volevano cambiare il mondo e che invece sono finiti a lavorare a Wall Street. Questa cosa è il riflesso de La notte dei morti viventi di George Romero. Poi c’è anche la guerra del Vietnam, ed il fatto che per la prima volta l’orrore del conflitto bellico poteva essere visto in tv, ed in questo caso L’ultima casa a sinistra di Wes Craven riprende quel modo di girare dei cineoperatori in Vietnam. E poi c’era il Watergate, l’aborto e la legge sul divorzio”.
Quel periodo del cinema horror ha fatto nascere icone come Freddy Krueger (protagonista della saga di Nightmare), Jason Voorhees (Venerdì 13) e Michael Myers (Halloween). Cosa aveva di così potente quell’epoca storica tanto da far nascere tre figure così forti per il nostro immaginario e per la cultura pop?
“Le icone nascono se una cosa ha successo, c’è anche una questione di marketing in tutto questo. Tutto ciò ha portato alla serializzazione di alcuni film horror di successo e ha fatto sì che questi personaggi entrassero nella cultura pop. Poi è vero che Freddy, Jason e Michael possono anche essere analizzati in maniera un po’ più approfondita. Soprattutto Freddy rappresenta il simbolo del represso, attraverso lui i ragazzi giovani pagano le colpe dei padri, cioè la generazione dei figli dei fiori. Jason invece è nato grazie all’idea commerciale di sfruttare ancora il successo del primo film approfittando di una scena finale voluta dal grande Tom Savini, e che ha concentrato l’attenzione non più sulla figura protagonista del primo Venerdì 13 (ovvero la mamma), ma su Jason. Lui volendo analizzarlo rappresenta un po’ il conservatorismo americano. Michael Myers per me esiste solo nei primi due film, gli altri non mi piacciono e perdono un po’. E c’è una componente particolare perché nel primo film chi sopravvive è una vergine.
Si sbaglia dicendo che queste icone horror hanno anche una forte componente morale (muoiono sempre i ragazzi ribelli che fanno sesso)?
“No, è vero che ci può essere un discorso morale, però queste icone sono nate soprattutto per il semplice obiettivo di fare un film. E poi ammazzare la gente che fa sesso è più divertente che uccidere i secchioni”.
Quale tra le interviste presenti all’interno di Horror Nightmares ti ha colpito di più?
“Tutte le persone che ho intervistato sono state straordinarie. Richard Matheson è stato fantastico, rappresenta il padre di tutti gli autori horror contemporanei. Passare una giornata con lui è stata una cosa unica. Anche l’intervista a Bob Clark (autore del primo film slasher Black Christmas ndr) è stata particolare, fece con me un’intervista telefonica pochi mesi prima di morire in un tragico incidente stradale.
Molti dei personaggi che hai intervistato sono poi diventati tuoi amici. Qual è la formula giusta che si deve creare per stabilire sintonia tra intervistatore e intervistato?
“Credo non esista una formula, è una cosa soggettiva. La sintonia nel mio caso è nata dal fatto che queste persone hanno il mio stesso punto di vista, e quindi c’erano le basi per poter creare anche un rapporto di amicizia. Poi per me non era un lavoro su commissione, gli intervistati hanno avvertito la mia passione, cosa che a volte certi giornalisti non hanno”.
Come vedi l’horror di oggi e di domani?
“Ho fiducia nell’horror, è un genere ciclico, perciò è normale che ogni tanto s’interrompa. L’ultimo boom è avvenuto in seguito alle vicende di Guantanamo ed alla scoperta delle torture che venivano fatte dai militari americani. Quest’atmosfera si è riflessa in Saw ed Hostel. Ora sono due anni che l’horror è morto, bisogna aspettare una nuova onda di energia. Il periodo del New Horror sarà comunque difficile da eguagliare, si è forse mostrato tutto, è difficile trovare archetipi”.
Quali sono i libri horror che ti hanno più influenzato?
“Assolutamente Io sono Leggenda di Matheson, ed anche se non è horror 1984 di George Orwell. Ultimamente invece ho trovato magnifico 22/11/63 di Stephen King, è una storia fantastica ed è un saggio socio-politico sull’America degli anni ’50.
Per concludere, visto che lo hai citato, sarai tu il primo italiano a portare a casa un’intervista di Stephen King?
“Ci ho provato un paio di volte, ma è una persona molto riservata. Per adesso non ne ho avuto la possibilità, spero di farcela in futuro”.