blog di Alberto Grandi
Cose da scrittori

Il registro linguistico nel romanzo4 min read

4 Maggio 2016 4 min read

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Il registro linguistico nel romanzo4 min read

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Il registro linguistico è il tipo di linguaggio che l’autore intende adottare nel suo romanzo. Sebbene, di norma, ogni romanzo adotti un preciso registro che identifica la sua voce e lo rende unico, ci sono romanzi che alternano più registri. Uno fra tutti l’Ulisse di Joyce che alterna il registro aulico al medio e al basso.
Vediamo quali sono i registri linguistici di base.
ALTO O AULICO
Caratterizzato da una lingua solenne, “nobile”, letterariamenbte virtuosa, dove non sono rari gli arcaismi. È tipico nei romanzi ottocenteschi, meno frequente in quelli del Novecento. Si tratta di uno stile dove la “presenza dell’autore” si sente, nel senso che la parola scritta ha un suo peso. Si utilizzano spesso i doppi aggettivi (“ilare e giocoso”, “oscuro e tormentato”) e i nomi plurimi (pensosità, ambascia). Nel Novecento, ne fanno ampio uso Carlo Emilio Gadda e Tommaso Landolfi
MEDIO O STANDARD
Caratterizzato da una lingua oggettiva, corretta, che vuole informare più che “connotare”. Non vi è ricercatezza. Le parole e la sintassi sono semplici. Si vuole stabilire una comprensione diretta con il lettore (Dino Buzzati, la cui prosa rientra a pieno titolo in questo registro, avrebbe detto, “non gli si rompe l’anima”). È il registro più frequente dei romanzi del Novecento: Hemingway ne è un campione, da noi Goffredo Parise e anche Alberto Moravia.
BASSO O COLLOQUIALE
È il registro linguistico che vuole riprendere i ritmi e le espressioni del parlato. È usato nei romanzi dove grande importanza ha il dialogo, ad esempio i noir di Elmore Leonard, oppure scritti in prima persona, dove l’autore sembra quasi rivolgersi al lettore, come Louis Ferdinand Céline in Viaggio al termine della notte. O ancora in quei romanzi dove, per immergere meglio il lettore nelle loro ambientazioni popolari, ne si adottano gli stilemi espressivi. Un tipico esempio è Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini.
ESEMPI
Registro aulico
Tutti oramai lo chiamavano don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e, non si sa perché, invidiati funzionari della sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi. Di statura media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po’ tozzo, di capelli neri e folti e cresputi che gli venivan fuori dalla metà della fronte quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sole d’Italia, aveva un’aria un po’ assonnata, un’andatura greve e dinoccolata, un fare un po’ tonto come di persona che combatte con una laboriosa digestione: vestito come il magro onorario statale gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline d’olio sul bavero, quasi impercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana.
Carlo Emilio Gadda – Quer pasticciaccio brutto de via Merluana
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Eppoi si facciano al minimo cambiar nome, i lavoratori, se vogliono accreditare presso i migliori la loro causa. Ma che davvero si può seguitare con denominazioni come: masse lavoratrici, camera del lavoro, confederazione del lavoro, o con quell’altra simile al rumore d’un ventre diarroico, di proletario, con relativo proletariato, eccetera? E facciano cambiar nome ai loro dirigenti (altra bella e, per chi è diretto, onorevole parola). S’è mai sentito uno di costoro che avesse un nome con qualche luce di spirito o con qualche destino?
Tommado Landolfi – Cancroregina
Registro medio o standard
Sul finire dell’estate di quell’anno eravamo in una casa in un villaggio che di là del fiume e della pianura guardava le montagne. Nel letto del fiume c’erano sassi e ciottoli, asciutti e bianchi sotto il sole, e l’acqua era limpida e guizzante e azzurra nei canali. Davanti alla casa passavano truppe e scendevano lungo la strada e la polvere che sollevavano copriva le foglie degli alberi. Anche i tronchi degli alberi erano polverosi e le foglie caddero presto quell’anno e si vedevano le truppe marciare lungo la strada e la polvere che si sollevava e le foglie che, mosse dal vento, cadevano e i soldati che marciavano e poi la strada nuda e bianca se non per le foglie.
Ernest Hemingway – Addio alle armi
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Registro basso o colloquiale
Una sera, verso la fine di ottobre, Harry Arno disse alla donna con cui usciva saltuariamente da qualche anno: – Ho preso una decisione. Ti dirò una cosa che non ho mai detto a nessuno in vita mia.
– Ti riferisci a quello che hai fatto durante la guerra? – disse Joyce.
Questo lo bloccò. – Come fai a saperlo?
– Quella volta che eri in Italia e hai sparato a quel disertore?
Harry non disse nulla e si limitò a guardarla.
– Me l’hai già raccontato.
– Ma va! E quando?
– Eravamo seduti a bere qualcosa da Cardozo, di fuori; avevamo ricominciato a uscire insieme da poco. E tu hai detto le stesse identiche parole che hai detto adesso, come se stessi per raccontarmi un segreto. È per questo che l’ho capito. Solo che allora non mi avevi parlato di nessuna decisione.
Elmore Leonard – Pronto
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