Tempi verbali e scrittura, meglio il presente o il passato?3 min read
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La scelta di un tempo verbale è fondamentale nella stesura di un romanzo. Un tempo piuttosto che un altro condiziona la percezione che il lettore ha della vicenda e il ritmo della narrazione. Ogni tempo ha sue caratteristiche e offre vantaggi e svantaggi rispetto agli altri. Consideriamo i quattro più frequenti nei romanzi: imperfetto, passato prossimo, passato remoto e presente.
PASSATO
Imperfetto: è utile a porre la vicenda in un momento indefinito del passato. Gli effetti delle azioni narrate potrebbero anche non essere conclusi o essersi conclusi in un tempo più o meno vicino al presente. L’imperfetto è un tempo che non fa percepire le azioni come archiviate, ma in evoluzione. Paradossalmente potremmo dire che è il tempo passato più vicino al presente che ci sia. Proprio perché indeterminato non colloca le azioni in un tempo lontano, che non ci riguarda più. Se leggete “egli moriva” pensate a un personaggio che sta morendo (e quindi è ancora vivo), se leggete “egli morì” pensate a un personaggio che ha compiuto definitivamente il suo destino.
Passato prossimo: a differenza dell’imperfetto, si riferisce a un evento come concluso per quanto, temporalmente vicino al presente. Difatti è spesso usato in quei racconti al presente in cui si vuole fare il punto della situazione riferendosi a eventi passati ma ad essa collegati. Esempio: “Si sveglia con una forte emicrania e allora pensa a quello che ha fatto la notte prima: ha bevuto e si è sbronzato come una spugna, poi ha ballato…“. Diversamente dall’imperfetto, non è il tempo delle atmosfere, ma ha il vantaggio di porre un’azione in primo piano anziché renderla generica.
Passato remoto: è un passato più controllato e quindi meno usato dell’imperfetto o del passato prossimo, soprattutto nei dialoghi. Difficile imbattersi in un personaggio che parla al passato remoto. È un tempo che storicizza le azioni e dunque le distacca nettamente dal presente. Altra cosa, il passato remoto, come il passato prossimo, mostra un evento, non lo racconta come fa l’imperfetto. Il passato remoto esprime dunque un’azione archiviata, il passato prossimo, un’azione conclusa ma che potrebbe avere ancora attinenza con il presente, l’imperfetto esprime piuttosto una condizione.
PRESENTE
È un tempo ideale per chi scrive in uno stile segmentato, ovvero fatto di frasi brevi, poche digressioni, molto basato sui fatti, e magari con un punto di vista neutrale, cioè limitandosi a inscenare i fatti, senza calarsi troppo nella psicologia dei personaggi. Di sicuro è un tempo che può aiutare a dare un ritmo preciso alla narrazione e favorisce l’immedesimazione del lettore con la trama. Tuttavia un romanzo scritto interamente al presente è un impresa non facile. Richiede una penna “sorvegliata”, in grado di legare a sé il lettore in maniera continuativa. Credo che un buon esempio degli ottimi esiti che può fornire una narrazione al presente, la dia Trilogia della città di K di Agota Kristof: “Arriviamo dalla Grande Città. Abbiamo viaggiato tutta la notte. Nostra Madre ha gli occhi arrossati. Porta una grossa scatola di cartone, e noi due una piccola valigia a testa con i nostri vestiti, più il grosso dizionario di nostro Padre, che ci passiamo quando abbiamo le braccia stanche.“
Diana
Buongiorno, quindi che tempo dovrei scrivere? Ultimamente ho letto dei romanzi in cui viene usata la prima persona e il tempo presente, ma non mi viene da usare lo stesso tempo: io scrivo in terza persona usando il passato remoto, ma a volte mi sembra che la narrazione risulti un pò pesante. E' solo una mia impressione?
Diana
Ho sbagliato anche a scrivere l'inizio del commento...