Better Call Saul, una serie tv tutta da leggere… cioè da guardare3 min read
Reading Time: 2 minutesQuesta sera, dopo cena, mi metterò comodamente in poltrona, mi collegherò a Netflix e guaderò la nuova puntata di Better Call Saul seconda stagione).
BCS, per chi non lo sapesse, è lo spin-off di Breaking Bad, da molti considerata la migliore serie tv di sempre, ideata da Vince Gilligan e Peter Gould. Non è necessario vedere Breaking Bad per gustarsi Better Call Saul anche se, a tutti coloro che non hanno visto la prima consiglio di farlo, come consiglierei a un appassionato di vampiri di leggersi Dracula. Diciamo che chi ha visto Breaking Bad ritroverà in Better Call Saul alcuni personaggi che hanno fatto grande la prima serie, chi non l’ha visto non si sentirà tagliato fuori.
Better Call Saul parla di uno sgangherato avvocato, James McGill, che tenta di fare strada in una cittadina del New Mexico. Per emergere deve fare i conti con un fratello ingombrante, avvocato anche lui che non fa altro che giudicarlo, clienti che nessun avvocato si augurerebbe di avere – narcotrafficanti, sbirri corrotti eccetera -, una donna che crede in lui ma ne avverte anche la natura inaffidabile, e se stesso. Sì, perché McGill – che poi cambierà nome in Saul Goodman – è un uomo dal temperamento imprevedibile, dalla mente geniale, le cui trovate, però, sfidano i limiti del buon senso e anche della legge.
In questa serie compaiono criminali, sbirri, trafficanti di droga, ma se quello che cercate sono sparatorie, pestaggi e cadaveri di cui sbarazzarsi, allora non fa per voi. Perché la “quota crime” è decisamente sottotono rispetto a quella psicologica; dove tacciono le sparatorie si inseriscono splendidi dialoghi. Ci sono poche scene di azione, sintetiche, decisive, che bastano a spiegare la violenza di un certo ambiente, per il resto tutto segue i ritmi tranquilli della quotidianità. I personaggi non sono affascinanti per ciò che compiono, per i gesti drastici con cui rovesciano il proprio destino o quello altrui, ma per le motivazioni che rivelano nel prendere una decisione piuttosto che un’altra.
A tratti, per gli scorci che offre di un America lontana dalle solite New York e Los Angeles, un’America che nessuno si è mai filato, mi sembra che Better Call Saul attinga le sue ambientazioni ai racconti di Raymond Carver. Ma è solo un’impressione perché questa serie tv non ha niente in comune con le esistenze tragiche, segnate dall’alcol descritte da Carver. Tuttavia, c’è una cura dei dialoghi e nel dettaglio, c’è un gusto per il non detto ma solo evocato, nella sceneggiatura, che fa pensare ai grandi maestri della short story.
Ma perché vi sto parlando di Better Call Saul? Perché in pieno bombardamento massmediatico dovuto alla sesta stagione del Trono di Spade, drogati da saghe distopiche, martellati dai post che s’interrogano sull’annosa questione se Jon Snow sia veramente morto oppure no, calati in un cinema che, in quanto ai cinecomic non ci risparmia nulla (vogliamo parlare del penoso Batman vs Superman) è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.
Una serie tv che basa la sua aspettativa non sullo stupro nella scena finale dell’ultima puntata, ma su i rapporti tra i personaggi e la loro possibile evoluzione. Una serie controcanto alle tante saghe fantasy e scifi da cui siamo invasi. Diciamolo: Better Call Saul è come un buon romanzo che ci spiega qualcosa di più sulla natura umana rispetto alla valanga di trame che ci raccontano la solita lotta tra bene e male condita con qualche drago volante o estraneo che risorge.
Oh, poi, intendiamoci, il 25 aprile anche io sarò seduto comodamente in poltrona per collegarmi a Sky Online e guardare la prima puntata della sesta stagione del Trono di spade.