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L’Ulisse di Joyce è una super sega letteraria totale?4 min read

15 Aprile 2016 4 min read

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L’Ulisse di Joyce è una super sega letteraria totale?4 min read

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È una domanda che mi sono chiesto spesso. Forse per avere la risposta dovrei rileggere il romanzo anche se, lo ammetto, averlo fatto una volta, mi è più che bastato. Mentre leggevo l’Ulisse non potevo fare a meno di ammirare il virtuosismo letterario di Joyce, la sua capacità di variare i registri stilistici ad ogni capitolo, di piegarli alle situazioni narrate come se il suo libro fosse la summa enciclopedica non solo del mondo in sé ma anche dei modi in cui può essere descritto. Però, dopo essere andato in bagno con Bloom, dopo averlo accompagnato al bordello, dopo aver giaciuto sul suo letto matrimoniale insieme a Molly e, attraverso il suo stream of consciusness, essere stato informato che il suo ciclo mestruale sarebbe cominciato di lì a poco, a libro chiuso, la domanda che mi sono posto, è stata: “perché?“.

Perché si legge I fratelli Karamazov? Perché è un romanzo grandioso in cui i fratelli sembrano l’uno l’alter ego dell’altro e fanno capo tutti a un unico alter ego, il più grande, il più intrattabile, ovvero il loro padre impossibile che scatena in loro desiderio, odio, voglia di fare del bene e del male. Perché è un romanzo sulla miseria e la nobiltà dell’animo umano.
Perché si legge David Copperfield? Per apprendere la parabola di un signor nessuno, i numerosi patimenti, i personaggi amici e meschini che egli ha dovuto incontrare per costruirsi un’identità, diventare uomo, e perché la storia in sé è un grande ritratto della società industriale, una denuncia delle sue ingiustizie.
Perché si legge l’Ulisse di Joyce? Per sapere quanto è bravo uno scrittore e che il suo personaggio si masturba mentre osserva una ragazzina storpia stesa sulla spiaggia?

Prima edizione del mattone joyciano
Prima edizione del mattone joyciano

Spesso l’Ulisse è stato definito il romanzo del corpo e della veglia, contrapponendolo all’altro “capolavoro” sperimentale di Joyce, il Finnegans Wake, considerato invece il romanzo sulla mente sognante. La cosa risulta chiara fin dall’incipit. Nel Finnegans la lingua e una densa commistione di vari idiomi che invia alla mente emozioni, più che informazioni, abbozzi, più che contorni definiti:
“Fluidofiume, passato Eva e Adamo, da spiaggia sinuosa a baia biancheggiante, ci conduce con più commodus vicus di ricircolo di nuovo a Howth Caste Edintorni”.
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L’Ulisse di Joyce è sperimentale, ma con lo scopo di fornirci quasi una precisa cartella clinica e patologica sulla reinterpretazione psichica e fisica che i personaggi fanno della realtà, sia che ci si stia masturbando guardando una ragazza che gioca sulla spiaggia (Bloom nel capitolo 13, Nausicaa), sia che ci si trovi a letto e si avverta il principio del ciclo mestruale (Molly nel capitolo 18, Penelope). Anche qui l’incipit è indicativo di tutto il romanzo: non “c’era una volta” o “era una notte buia e tempestosa”, ma una mera descrizione dei fatti che cala subito il lettore nella vicenda: “Solenne e paffuto, Buck Mulligan comparve dall’alto delle scale, portando un bacile di schiuma su cui erano posati in croce uno specchio e un rasoio. Una vestaglia gialla, discinta, gli levitava delicatamente dietro, al soffio della mite aria mattutina. Levò alto il bacile e intonò:
“– Introibo ad altare Dei.
“Fermatosi, scrutò la buia scala a chiocciola e chiamò berciando:
“– Vieni su, Kinch! Vieni su, pauroso gesuita.”

Sarò franco, a volte mi chiedo che utilità abbia questa enorme cartella clinca sul genere umano. Del resto ci fu chi, a suo tempo, disse che leggerla era come scorrere l’elenco del telefono. Coehlo reputa il libro un danno enorme alla letteratura del Novecento. E se Coehlo secondo voi è un cialtrone anche Roddy Doyle, autore irlandese di un certo pregio, considerava l’Ulisse noioso, mentre la Woolf diceva: “Mi ha interdetto, annoiato, irritato e disilluso, come di fronte a un disgustoso studente universitario che si schiaccia i brufoli”. Riguardo invece al Finnegans Wake e sul fatto che sia un capolavoro fallito, un romanzo grande nei propositi, un po’ meno nell’esito, vi rimando alla splendida recensione del grande critico Edmund Wilson pubblicata sulla frusta letteraria. Infin, riguardo  Joyce, Moravia diceva che era una grandiosa carcassa del Novecento, a significarne la capacità dell’irlandese di concepire un’opera summa sul genere umano al pari di un Dante, ma l’imperfezione del risultato. Certo, Moravia aveva detto la stessa cosa su Proust…

Invidia o critiche oneste? Siamo davanti a un capolavoro o a un labirinto che, alla fin fine non vale la pena esplorare perché manca di una vera sfida, il Minotauro che susciti in noi vere emozioni e alla fine è un labirinto fatto di chiostri suggestivi, siepi elaborate, ma che non porta a nulla?
Di una cosa sono certo, se dovessi scegliere i 10 libri da portare su un’isola deserta, tra questi non ci sarebbe l’Ulisse di Joyce. Forse I morti, quello che secondo me rimane il suo vero capolavoro.

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