L’importanza del capoverso4 min read
Reading Time: 4 minutesIl capoverso segna la ripresa di un blocco narrativo dopo che si è andati a capo. Alle volte, viene inteso anche come il blocco stesso, per intero, preso tra un a capo e l’altro.
Perché è importante il capoverso?
Perché detta la respirazione di un romanzo.
Si respira a ogni capoverso e la respirazione può avere un ritmo breve o esteso, dipende dallo stile dell’autore e dalla materia che affronta.
La cosa importante è che ogni capoverso lasci memoria di sé in quello successivo e il blocco narrativo a cui ha dato avvio sia conclusivo, ma, allo stesso tempo, abbia il potere di suggerire nel lettore l’idea che qualcosa è rimasta in sospeso, qualcosa che chiariremo nel capoverso che segue.
Nel saggio Leggere da scrittore (Dino Audino Editore, 18 euro), Francine Prose, nel trattare il tema del capoverso, cita una celebre manuale di scrittura, Element of Style, di W. Stunk e E. B. White:
“Come regola, aprite ciascun capoverso con una frase-chiave che suggerisce l’argomento o facilita la transizione […]. In passaggi narrativi e descrittivi, il capoverso inizia a volte con un’affermazione concisa, onnicomprensiva, avente la funzione di tenere assieme i dettagli che seguono […]. Ma quando questo espediente, o qualunque espediente, è usato troppo spesso, diventa un manierismo […]. Nella narrazione ricca di azione, i capoversi sono probabilmente brevi e privi di una frase-chiave: lo scrittore procede a tutta velocità, un evento segue l’altro in rapida successione. L’interruzione tra capoversi di questo tipo funge unicamente da pausa retorica, mettendo in evidenza qualche dettaglio dell’azione.”
In Hemingway, i cui romanzi mostrano una trama lineare e una prosa dove la psicologia dei personaggi è più lasciata all’immaginazione del lettore che analizzata sulla pagina, avremo capoversi più frequenti che, ad esempio, in Gabriel Garcia Marquez.
Cent’anni di solitudine è un romanzo scandito da capoversi che corrispondono a blocchi narrativi lunghissimi. La trama non è lineare. Presente, passato e futuro sono continuamente mescolati. C’è un senso di rielaborazione degli eventi e dei personaggi per cui tutto alla fine è magmatico e il lettore, più che in una scansione di eventi, si sente catturato in un vortice.
Questo risulta palese fin dall’incipit che si chiude più di trenta righe dopo la partenza.
Inoltre in Cent’anni di solitudine i capoversi iniziano spesso con considerazioni sul tempo:
“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione…”
“A quell’epoca, Melquiades era invecchiato con una rapidità sorprendente.”
Un tempo storico, epocale, che mette in campo personaggi ed eventi che coprono un arco generazionale, non un tempo che vuole introdurre l’azione o aprire un nuovo contesto affinché la trama progredisca.
Nell’Autunno del patriarca, Garcia Marquez abolirà quasi del tutto il capoverso per immergere la lettura in una narrazione densa e avvolgente.
Ci sono autori per cui l’utilizzo di capoversi si rivela fondamentale, se non l’elemento fondante della loro opera.
Tra gli italiani, il primo che mi viene in mente è Baricco.
Prendiamo Novecento:
“Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa… e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire… Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi… Eppure c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo… la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte… magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni… alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare… e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov’era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l’America. Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l’aveva fatta lui, l’America.”
Questo blocco narrativo non avrebbe potuto essere interrotto prima. L’America è l’arrivo di un percorso narrativo che inizia con “Succedeva sempre“; la conclusione a cui si giunge seguendo indizi vaghi per lo più di ordine emotivo, casuale – “….ad un certo punto uno alzava la testa…“, “…magari era lì che stava mangiando….” -. La destinazione non solo geografica, ma anche psicologica.
Tralasciando i maestri di stile e i manieristi dello scrivere, un capoverso, di base, ha ragion d’essere quando, nella narrazione si vuole introdurre qualcosa che prima non c’era:
un tempo
un luogo
un personaggio
il nuovo stato d’animo di uno stesso personaggio
una nuova condizione che implica una progressione della trama