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Recensioni

Città in Fiamme, il grande romanzo su New York prima dell’11 settembre3 min read

30 Marzo 2016 3 min read

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Città in Fiamme, il grande romanzo su New York prima dell’11 settembre3 min read

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di Paolo Armelli per Wired.it
cittàinfiamme
Garth Risk Hallberg ha impiegato quasi dieci a concepire e poi scrivere il suo primo romanzo, City on fire (Città in Fiamme), libro pubblicato poco fa da Mondadori ma che è stato il caso letterario del 2015 negli Stati Uniti (tanto chiacchierato anche per l’anticipo record, 2 milioni di dollari, pagato all’autore). Tutti hanno lodato soprattutto l’ambizione di quest’opera di mille pagine. Sullo sfondo la città messa a ferro e fuoco è New York, ricostruita in una delle sue epoche più buie, dal Natale del 1976 all’enorme blackout del luglio 1977.
Un ambizioso romanzo storico, dunque, ma anche un thriller con efferato delitto, un imponente storia di formazione a più voci e un ritratto cupo e contraddittorio di un’epoca (quella del punk, quella di una città sull’orlo della bancarotta e infestata dalla criminalità, quella dell’AIDS imminente). Tutto legato assieme dall’amore spassionato – lo si legge ad ogni pagina – che l’autore ha per il linguaggio, sempre tornito e variegato, sempre frutto di accurata riflessione e da una sapiente commistione: alcune pagine cambiano radicalmente, anche dal punto di vista grafico, diventando lettere personali, bollettini medici, fanzine musicali e così via.
Un mix che solo un talento totale, seppur acerbo a qualche tratto, riesce a dominare, in uno stile che risente gli echi più o meno intonati di Don DeLillo, Tom Wolfe, Martin Amis ma anche di Dickens, Salinger e, secondo molti, anche della Donna Tartt de Il cardellino (anche se è l’autore stesso a dichiarare l’influenza di serie tv come The Wire).

Al centro della vicenda si muovono, appunto, svariati personaggi, tutti variamente in fuga da qualcosa, in particolare da genitori opprimenti o vite troppo rigidamente segnate. Tutti vagano per la città, subendone il fascino magnetico ma anche essendone avviluppati in modo asfissianti: adolescenti che giocano a fare i punk nichilisti, investitori che crollano sotto il peso della propria infedeltà, famiglie che si sgretolano sotto i colpi della delusione e dell’incomunicabilità, outsider fatti e finiti che ancora non hanno subito la sconfitta definitiva del sogno americano che inseguono forsennatamente.
Attraverso le vicende tutte intrecciate fra loro, Hallberg cerca “di ricreare il volto della città intera“, come farà dire a riguardo di un dipinto ad opera di uno dei suoi personaggi. Tutti i quartieri di New York, dal Bronx a Central Park fino a Hell’s Kitchen e Uptown, divampano in un unico incendio, quello di una città apocalittica e tuttavia molto realistica, che nulla ha di fantascientifico se non la profondità assoluta delle coscienze dei suoi abitanti, i quali continuano a lottare nonostante siano costretti ad ammettere: “La ragione per cui possiamo dire ciò che vogliamo in America è che non fa nessuna differenza“.
Città in Fiamme è una specie di utopia dark, un mondo bruciato dall’anarchia della vita. Eppure, in questo stesso scenario, “potevi ascoltare i primi dischi rap o quelli dell’ultima New Wave o ciò che stava diventano la disco nei club senza licenza, dove neri e marroni e bianchi e gay e etero si mischiavano ancora apertamente“. Un mondo ancora vitale, insomma, eppure profetico dei grandi incendi che verranno (l’11 settembre, la crisi del 2008), che brucia le passioni e le delusioni e i sensi di colpa in un falò delle vanità tutto letterario, tutto contaminato, tutto decadente. Un libro che comunque vi riconcilia con la lettura, che va letto, amato e “bruciato”.
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